domenica 22 dicembre 2019

Montagne sacre


BiblioCAI, il coordinamento delle biblioteche sezionali, si è arricchito di un nuovo strumento di comunicazione tra le varie sezioni del CAI: un forum di discussione realizzato tramite un gruppo su Google. È uno strumento molto interessante per scambiare informazioni con i responsabili delle biblioteche di tutta Italia che hanno aderito a BiblioCAI. Questo strumento mi è sembrato talmente utile e opportuno tale da vincere la mia avversione per questo tipo di comunicazione e per i social in genere. Ho fatto resistenza, accampando scuse con me stesso, ma poi ho aderito. Alcune discussioni mi sembrano interessanti. Con il tempo capiremo ancora meglio come utilizzare questa forma di condivisione tra biblioteche.
Un argomento che mi ha sempre incuriosito sono le montagne sacre: cime dallo spiccato significato simbolico, luogo di contatto privilegiato tra l'umano e il divino, tra il terreno e il trascendente. In una prossima serata mi ripropongo di donare alla biblioteca Il Monte Analogo, un libro ormai considerato un classico della letteratura di montagna. Vi si narra di una spedizione che parte alla ricerca del Monte Analogo: "la Montagna è il legame tra la terra e il cielo. La sua cima unica tocca il mondo dell'eternità e la sua base si ramifica in molteplici contrafforti nel mondo dei mortali."
Il monte Analogo non esiste, o forse non è stato ancora scoperto, esistono però molte montagne che hanno un forte valore simbolico. Questo libro ci darà allora lo spunto per allargare il discorso alle montagne sacre che già conosciamo.
In biblioteca abbiamo il Sinai raccontato da un'alpinista, Nives Meroi, e da un teologo, Vito Mancuso. Spigolando tra i nostri libri, Arturo ha ritrovato nel diario di Unterkircher (L'ultimo abbraccio della montagna) il racconto della salita al Genyen, senza raggiungere la cima per non urtare la sensibilità delle popolazioni locali che la ritenevano una montagna sacra. Alla ricerca di qualche altro spunto ho chiesto ai miei colleghi bibliotecari, via Google, di consigliarci qualche altro titolo che possa essere utile al nostro discorso. Ho ricevuto qualche suggerimento interessante che vi riporto.
"Verso la Montagna sacra. Il monte Kailash. Un pellegrinaggio in Tibet" di Colin Thubron, veramente bello a detta di chi mi scrive. Uno libro splendido e molto simile di Olivier Föllmi e Jean-Marie Hullot, "Ritorno in Tibet. Un pellegrinaggio al Monte Kailash". Altri spunti sul tema, in generale, si possono trovare nelle opere di Giuseppe Tucci, il nostro grande grandissimo orientalista, anche se non mi è stata indicata l'opera precisa, e pure in "Segreto Tibet" di Fosco Maraini.
Ora sta a noi. Chi vuole contribuire a questa serata parlando di questi o altri libri che vorrà proporre non ha che da farsi avanti, in modo da contribuire sempre di più alla condivisione delle nostre letture, vera chiave di successo della nostra biblioteca.

domenica 8 dicembre 2019

I giovani e la montagna ...e le donne


Poche sera fa, discutendo con Arturo, si dividevano approssimativamente gli scrittori di montagna in due categorie: alla prima appartengono quelli che raccontano storie descrivendo i fatti in modo lineare e sequenziale; alla seconda quelli che mescolano immagini più o meno stralunate, allucinazioni e sensazioni, eventi forse sognati e chissà se accaduti realmente, e che interferiscono con la narrazione per rendere l'atmosfera vissuta dai personaggi. Ciò non voleva essere un giudizio di merito, soltanto il rimarcare uno stile diverso dall'altro.
La notte fra i due inverni, romanzo fresco di stampa di Alberto Sciamplicotti per le edizioni Alpinestudio, appartiene decisamente alla prima categoria. Il racconto si dipana attraverso le avventure in montagna di un gruppo di giovani amici che affrontano roccia e neve ma anche i problemi dell'amore e le difficoltà della vita. I fatti si susseguono in una narrazione fluida e leggera che si lascia leggere piacevolmente e le pagine scorrono facilmente. Se c'è qualcuno che invece "non ci sta a capire niente" è proprio Livio, il protagonista. Gli amori lo attraggono e lo deludono, la montagna lo affascina e lo appaga ma lo costringe ad amare riflessioni, la sua vita privata e lo studio ne risentono. Il romanzo ripercorre allora le tappe che punteggiano la vita di Livio alla ricerca della sua dimensione nel momento in cui si affaccia alla vita adulta con un pesante zaino di incertezze. Gli altri personaggi sono gli amici e le donne, e con queste ultime i rapporti non sono mai chiari. Ma il principale interlocutore del protagonista diventa la montagna: è lei che guida Livio attraverso gioie e dolori verso la ricerca di sé stesso.
Un romanzo che coinvolgerà i giovani e che ispirerà le riflessioni della maturità a chi non lo è più.

Avremo il piacere di ospitare l'autore presso la nostra sezione venerdì 13 dicembre alle ore 19.
Io e Alberto Osti ci adopereremo per presentare il libro.



lunedì 25 novembre 2019

Una storia impossibile e una storia tragica


Abbiamo due nuovi libri in Biblioteca.

Il primo è Impossibile di Erri De Luca, edito da Feltrinelli. L’ha letto per noi Arturo che ce lo racconta così:
Non c’è racconto, non c’è narrazione in questo romanzo, solo un discorso diretto, un colloquio tra due personaggi, intervallato da lettere d’amore. Il discorso è in realtà un lungo interrogatorio tra un magistrato ed un anziano escursionista, sospettato di omicidio. Le lettere d’amore sono quelle che l’anziano scrive, ma non spedisce, dalla cella di reclusione, in attesa di giudizio, ad una non meglio identificata “Ammoremio”. L’ipotesi di omicidio è dovuta al fatto che l’escursionista, che percorreva solitario una scoscesa e pericolosa cengia in Dolomiti, abbia chiamato i soccorsi per aver avvistato il corpo di un uomo precipitato; ma il magistrato sospetta che si tratti di un regolamento di conti, una volta accertato che i due in gioventù erano stati amici e compagni di lotta; e che il deceduto era poi diventato un collaboratore di giustizia. Una singolare coincidenza? Un incontro casuale? Al magistrato appare impossibile.
I dialoghi e le lettere all'amata ci rivelano l’animo profondo del protagonista, con i suoi ideali di uguaglianza, di fraternità, ma soprattutto di libertà, spesso cercata nel suo andare solitario per montagne e poi ritrovata anche dentro una cella.
Un romanzo insolito, diverso, che fa riflettere: una lettura da non lasciarsi sfuggire.

Il secondo libro è Ancora dodici chilometri di Maurizio Pagliassotti, ed. Bollati Boringhieri, 2019. Dodici chilometri è la distanza che separa Claviere, Italia, da Briançon, Francia: è questa la “rotta alpina”, la via, attraverso l’alta val di Susa e il Monginevro,  che i clandestini seguono per arrivare in Francia e forse oltre, dove sperano di trovare condizioni di vita migliori. È un libro duro, la narrazione di episodi tragici, difficile da raccontare in poche righe, perché sono tante le contraddizioni e le ipocrisie, e tutti i protagonisti sfuggono a qualsiasi categorizzazione. I “buoni” sono sempre tra virgolette, i passeur lo fanno per umanità o per lucro? Le chiese si chiudono ai migranti, i gendarmi a volte si girano dall'altra parte, con aria complice o distratta? Restano alcune immagini vivide. La marcia inesorabile di un fiume di neri che, in scarpe da tennis e giubbino di jeans, camminano inesorabili senza sapere dove andare, di notte, sprofondando nella neve, nel rigore dell’inverno: l’autore li paragona agli alpini della ritirata di Russia. Rasentano campi da golf e piste da sci dove si divertono i ricchi, attraversano paesi di montagna spopolati dove i poveri, autoctoni ma più spesso italiani emigrati dal meridione d’Italia, odiano e combattono i poverissimi che vengono dall’Africa. C’è poi il rifugio, alle porte di Briançon, dove un “giusto” accoglie chi ce la fa mentre gli altri sono rispediti indietro dai gendarmi o, peggio, sono finiti in pasto a lupi e volpi. I migranti non parlano, non si fidano di nessuno e, anche quando vengono raccolti e curati, appena guariscono vanno via senza dire una parola, senza un “grazie”.
A Claviere un migrante domanda: “Da che parte è la Francia?”. Risposta: “Non lo so”. Desolante.

giovedì 17 ottobre 2019

Montagna e musica: Castiglioni e Debussy


La nostra biblioteca ha acquistato un bel libro, grazie al suggerimento di Nazzareno. Si tratta de Il codice Debussy di Lorenzo Della Fonte per le edizioni elliot. Dal risvolto di copertina apprendo che l'autore, che non conoscevo, è valente musicista oltre che scrittore ma evidentemente conosce bene le montagne della Valtellina. Il romanzo è ambientato tra l'autunno del 1944 e la primavera del 1945, nell'Italia settentrionale occupata dai nazisti durante la Repubblica di Salò. Il protagonista è un capitano dei Carabinieri, di stanza ad Asti, che si trova a indagare sull'omicidio di una ragazza ebrea. Gli indizi raccolti lo portano rapidamente sulle tracce di Ettore Castiglioni: Nino, questo il suo soprannome, fu alpinista di rango ma anche buon musicista; maturata la sua avversione al regima fascista, aiutò ebrei e perseguitati politici a fuggire in Svizzera attraverso i passi di montagna. Morì in circostanze mai chiarite, fuggendo dalla Svizzera per rientrare in Italia, probabilmente durante una missione rimasta misteriosa, pochi mesi prima che la nostra storia abbia inizio: e questa è realtà.
La trama del libro è di fantasia ma i fatti narrati e la maggior parte dei personaggi sono reali, seppure piegati alla finzione romanzesca. Nell'invenzione narrativa, Castiglioni aveva una valigia a cui danno la caccia sia i tedeschi che i partigiani. La traccia seguita dal capitano, protagonista della storia, è costituita da otto preludi di Debussy che Castiglioni suonava ossessivamente ogni sera, sempre nella stessa sequenza. Sembra questa la chiave del mistero che lo porta prima in Val d'Aosta e poi in Valtellina. L'azione, sempre avvincente, si svolge lungo i sentieri e gli impervi passaggi tra Valmalenco ed Engadina, tra Italia e Svizzera. Pagine suggestive descrivono la bellezza che lega montagna e musica, così com'era nell'estetica cara a Castiglioni, regalandoci momenti lirici in contrasto con la drammaticità degli eventi che si susseguono.
Nota a margine: tra i personaggi reali del libro c'è anche un avvocato di Asti che erudisce il nostro protagonista sulla musica di Debussy; compare così anche suo figlio Paolo, ancora bambino, destinato a seguire le orme professionali del padre ma che già cerca ispirazione sulla tastiera del pianoforte, sotto le stelle del jazz. Diventerà famoso: ma questa è un'altra storia.

Dedicheremo due serate alla vicenda di Ettore Castiglioni: la prima con la proiezione del film Oltre il confine di Andrea Azzetti e Federico Massa, in modo da introdurre questo controverso personaggio a chi non lo conosce già; nella seconda parleremo de Il codice Debussy e leggeremo pagine del diario di Castiglioni.
Vi aspetto.



mercoledì 11 settembre 2019

Pronti per la rentrée?


Bentornati. Ricominciamo i nostri appuntamenti in biblioteca, venerdì 13 settembre, con un poeta locale, di cui avrete già letto nella newsletter del CAI, con l’intento di aprire sempre di più la nostra associazione alla realtà cittadina. Torneremo poi a occuparci di argomenti più vicini alla montagna, abbiamo già diverse idee in cantiere a cui voglio accennarvi.
Qualche mese fa è uscito il libro FALCO I-REMS che racconta il tragico incidente dell’elisoccorso del Cadore in cui perse la vita Fabrizio Spaziani. A dieci anni di distanza mi sembra doveroso ricordare questo nostro socio, a cui nel frattempo è stato intitolato l’ospedale cittadino, approfittando di questo libro e magari invitando uno degli autori, se ci riusciremo.
Sarebbe bello poter rievocare la figura di Ettore Castiglioni, alpinista, scrittore e redattore di guide, musicista e antifascista. Nazzareno sta leggendo Il codice Debussy, un giallo ii cui protagonista si trova a ripercorrere gli ultimi luoghi visitati da questo grande alpinista  – il rifugio al confine con la Svizzera da cui faceva espatriare ebrei e perseguitati politici, il Teatro alla Scala a Milano distrutto dai bombardamenti, fino alla Valtellina, dove Castiglioni trovò la morte in circostanze drammatiche.
In una prossima serata vorrei regalare alla biblioteca Il Monte Analogo, un libro considerato un classico della letteratura di montagna. Sotto le parvenze di un romanzo d’avventure, o di un racconto fantastico, Il Monte Analogo ci offre una «metafisica dell’alpinismo», attraverso la scalata incompiuta alla vetta che simboleggia il contatto tra la Terra e il Cielo, tra il terreno e il trascendente. Potremmo arricchire la serata con citazioni di altre montagne sacre. In biblioteca abbiamo il Sinai raccontato da un’alpinista, Nives Meroi, e da un teologo, Vito Mancuso. Ma ce ne sono ancora tante, specie nelle religioni orientali: mi viene in mente il giro del monte Kailash che è un pellegrinaggio imprescindibile per i tibetani. Insomma, è un argomento che potrà portarci lontano.
Dopo la serata su Guido Rossa, ma anche dopo la tragica fine di Daniele Nardi, Angelo ha sollevato il tema della frequentazione della montagna come gesto di individualismo esasperato piuttosto che come momento di solidarietà e di inclusione sociale. L’argomento è vasto e non semplice da trattare. Abbiamo pensato a un progetto ambizioso: un talk-show immaginario con tre grandi figure del passato che hanno fatto e raccontato l’alpinismo del Novecento (per chi ascolta RadioTre, una sorta di "Tutta l’umanità ne parla"); naturalmente daremo vita a questi tre giganti attraverso i loro scritti. Non sarà affatto facile, ma se riesce….
Ancora una volta avremo bisogno di tutti voi: di chi vorrà collaborare con noi alla preparazione delle serate e di chi ci userà la cortesia di ascoltarci. A presto!

giovedì 20 giugno 2019

Abbasso la plastica

Molti di voi, se non tutti, conoscono Alberto Osti. Un paio di settimane fa è stato nostro ospite per presentare "Le pietre raccontano", appena pubblicato dalle Edizioni Il Lupo e curato da lui stesso. La serata è stata certamente interessante ma non è di questo che vi voglio parlare. Alla serata è seguito il tradizionale buffet, come sempre organizzato con il contributo dei partecipanti. Alberto ha commentato così su Facebook:

"Settimana dell'ottimismo: presentazione di un libro del Lupo qualche giorno fa alla sezione del Club Alpino di Frosinone (Le Pietre Raccontano - 26 borghi abbandonati in Appennino centrale). Solita proiezione di immagini, chiacchierata sui contenuti, domande, buffet. In terrazza, considerata la temperatura. Vedo Piero mangiare qualcosa da una gavetta, altri utilizzare scodelle e bicchieri di varie fogge e colori. Chiedo spiegazioni: per non utilizzare plastica o carta, da qualche tempo i bravi caini hanno adottato il sistema di portarsi da casa attrezzature per il cibo rigorosamente riutilizzabili: basta con l'usa e getta, basta con il sopruso della plastica. Bravissimi, sarebbe bello se tutte le sezioni CAI d'Italia adottassero lo stesso sistema, tra l'altro semplice ed economico. qualcuno dovrebbe segnalare l'iniziativa, se non è stato già fatto, al CAI nazionale"

Rendo merito ad Annamaria che ha lanciato l'idea e a tutti i soci che l'hanno applicata. Mi incarico io di segnalarlo alla Biblioteca Nazionale, con cui ho contatti, sperando che possa rimbalzare la notizia alle altre strutture centrali del sodalizio.

martedì 4 giugno 2019

Due libri alpinistici

Abbiamo due nuovi libri in biblioteca.
Il primo è Il fuoco dell'anima scritto da Andrea Di Bari con Luisa Mandrino, edito nel 2017 da Corbaccio. Questo libro ha entusiasmato Cristiana Casini, bibliotecaria del CAI Firenze, che ha generosamente condiviso con noi le sue impressioni.
Non capita spesso di trovare un libro, cosiddetto “di montagna”, che abbia dentro così tanto; di solito si leggono, o almeno così è per me, perché ci interessa la storia, la cronaca, incontrando non di rado scritti mediocri, ridondanti e presuntuosi.
Confesso di non averlo comprato subito, forse il titolo così “pretenzioso” mi ha tenuta distante, poi recentemente un amico mi dice : «Ti porto un libro per la biblioteca, ne ho due copie, è molto bello, “Il fuoco dell’anima”, ce l’hai già? L’hai letto?» So di non averlo, il titolo minacciava l’ennesimo “mattone”, ma decido di fidarmi. «No, non ce l’ho, lo prendo volentieri, grazie!»
Ho cominciato a leggerlo, ritrovando anche personaggi e luoghi che ho avuto la fortuna di conoscere: Paolo Caruso, Bruno Vitale, le arrampicate a Gaeta e Sperlonga, le famose mozzarelle di Guido, da mangiare a morsi col latte che ti cola giù per il mento…
E’ stato come vedere un film, un bel film e quando un libro di “tira dentro” è sempre così perché dentro c’è la vita, la vita vera, la passione, la montagna, le amicizie buone e quelle meno buone e anche un bel pezzo di storia dell’arrampicata, il tutto scritto con leggerezza, ma disegnando con precisione ogni personaggio.
Ovviamente c’è anche un percorso, quello che porta il Dibba (simpatico soprannome di Andrea Di Bari) della borgata romana a diventare uno scalatore famoso, ma senza clamori né celebrazioni, come senza troppo rumore Andrea è stato lo scopritore di Kalymnos, isola alla quale ha di certo cambiato la sorte.
Concludo con due frasi del libro che credo riescano a dare forza a quanto scrivo:
E ancora oggi so che se avessi dimenticato da dove venivo tutto il castello sarebbe crollato. Ma sapevo anche, rispetto a un tempo, che non mollare la presa non solo ti impediva di precipitare, ma ti portava un poco più in alto”.

In Razzo rosso sul Nanga Parbat, edito da Corbaccio, Reinhold Messner racconta la sua versione della spedizione del 1970 su quella proibitiva cima. Ci furono diversi contrasti all'interno della spedizione e Messner fu accusato di aver fatto di testa sua; raggiunse la cima ma nella discesa, sul versante opposto, perse la vita suo fratello Gunther. Le polemiche sono continuate per anni con toni accesi e i suoi detrattori insinuarono che Messner avesse continuato da solo, pur di arrivare in cima, dopo che il fratello era morto lungo la via di salita. Il ritrovamento della salma, avvenuto anni dopo, nel punto indicato da Messner riaccreditò la veridicità della sua versione. Il libro riporta quindi diverse dichiarazioni di segno opposto ed è corredato da molte belle foto.



sabato 27 aprile 2019

un giallo dolomitico e altre storie

Eccovi i nuovi libri che abbiamo in biblioteca.

La confraternita della rosa nera di Riccardo De Palo è un giallo ambientato tra la Val Gardena, l'Austria e la Foresta Nera. Il protagonista, l'ispettore Moroder, con un passato da dimenticare, ricalca un po' troppo Rocco Schiavone; però è gardenese e tra le montagne si trova a suo agio. L'intreccio, a un certo punto, diventa poco credibile però la storia si snoda piacevolmente anche grazie ai collaboratori dell'ispettore. I luoghi sono un po' da cartolina, così come li vediamo noi da turisti; soprattutto le minuziose descrizioni delle specialità culinarie fanno pensare a volte a un dépliant turistico. Il romanzo è breve e l'ho letto tutto di un fiato.

Jon Krakauer centra sempre attentamente il punto della discussione. Il silenzio del vento, edito da Corbaccio negli anni '90, è una raccolta di articoli sul mondo dell'alpinismo moderno. Non c'è mai una descrizione dettagliata degli avvenimenti ma l'autore preferisce indagare sulle ragioni che li hanno determinati e sulle motivazioni di chi affronta montagne tra le più celebri al mondo. Il libro getta anche una luce sui meccanismi che regolano il grande circo mediatico dell'alpinismo di questi anni. Avvincente e ben scritto.

Pedalando nel silenzio di ghiaccio è, invece, l'autobiografia di Omar Di Felice. Nato al mare, a Nettuno, si appassiona al ciclismo negli anni di gloria del suo idolo, Marco Pantani; comincia a correre nelle squadre giovanili fino ad approdare al professionismo che però lascia ben presto. Cerca la sfida con sé stesso prima che con gli altri e comincia a praticare l'ultracycling, corse massacranti di 500 o 1000 chilometri sulle Alpi dove bisogna pedalare giorno e notte, senza fermarsi. Infine le traversate, d'inverno, nelle regioni artiche. La sua biografia è infatti intervallata con la cronaca della pedalata di 1300 km nel Canada artico, d'inverno. La scrittura è semplice e scorrevole e rende bene la sfida con sé stesso in condizioni estreme.

Scoprire il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi in bicicletta è l'idea che sta alla base de La foresta del silenzio, edito da Ediciclo. Gli autori: Paolo Ciampi, Marco Vichi e Paola Zannoner raccontano le loro esperienze alla scoperta di questo ambiente affascinante tra Toscana e Romagna, miscelando le loro impressioni sulla natura dei luoghi alle storie, leggende e tradizioni. La bicicletta si presta molto bene a questo scopo per la presenza di molte strade forestali che si inoltrano nei luoghi più reconditi e significativi della foresta. I percorsi sono mediamente impegnativi, si parla sempre di zone di montagna, però chi è meno allenato si gode ugualmente queste pedalate ricorrendo alla e-bike. In appendice al libro ci sono le descrizioni di dieci itinerari scelti tra i migliori del parco.




Parole e pensieri

Riflessioni pasquali indotte da un maggior tempo da dedicare alla lettura e all'ascolto della radio.
Ecco cosa dice Umberto Galimberti a proposito delle parole, del linguaggio (in Uomini e profeti su Radio3).
Il linguaggio non è uno strumento attraverso il quale noi esprimiamo il pensiero, noi possiamo pensare limitatamente alle parole che conosciamo. Non puoi formulare un pensiero a cui non corrisponde una parola, per cui è il linguaggio che ti consente di pensare, non il viceversa. Per cui la cultura è essenziale, non è una sofisticazione, perché più parole hai, più pensieri hai, meno parole hai meno pensieri hai. Hai delle idee semplici che non sono all'altezza di vivere in un mondo complesso e quindi sarai sempre un disagiato, oppure ti affidi a qualcuno che attraverso la semplificazione del mondo ti dice quello che devi fare. Cioè ti affidi a una dittatura che non è solo Hitler, Mussolini e Stalin: è una modalità di affidamento, una rinuncia all'invito di Kant "abbi il coraggio di usare la tua mente e non farti guidare da altri" che è diventato il motto dell'illuminismo.

È bello il concetto che avere più parole ci porta ad avere più pensieri. Sul Venerdì di Repubblica del 19 aprile però mi imbatto in una parola, derivata dall'inglese, che mi fa imbestialire per la sua inutilità: "foraging" ovvero come trovare e cucinare le erbe selvatiche. E passi che una volta facevamo le escursioni in montagna e ora facciamo il trekking, prima si andava a correre e adesso si fa jogging, però che adesso abbiamo bisogno di una "forager" che ci insegni "l'arte del foraging" mi sembra davvero troppo. In questo periodo potete andare a raccogliere gli asparagi; fra qualche tempo, durante una camminata in montagna, potrete raccogliere gli orapi; però, vi prego, niente foraging.

lunedì 1 aprile 2019

L'isola deserta

Talvolta mi prende a male: per consolarmi rileggo qualche brano di un libro che mi ha appassionato. Ennio Flaiano si presta benissimo a essere riletto "a spizzico", così diventa uno degli autori preferiti nei momenti di malumore. Flaiano non ha scritto certo di montagna; ha indagato con lucidità i vizi della nostra società. Anche la fruizione del tempo libero dedicato alla montagna può essere riletto attraverso la sagacia e l'ironia di questo autore.
Eccovi un passaggio del frasario di Flaiano (tratto dal Diario degli errori, al frammento [356]): Un'isola deserta non è più deserta: è soltanto periferia. Non si evade più. L'ingranaggio è troppo potente e ubiquo. Siamo maturi per una globale ora del dilettante: ognuno dica la sua, ma in fretta.
Questa citazione risale a metà degli anni '60, quando la speculazione edilizia delle nostre montagne era ancora agli albori. L'isola deserta che diventa periferia mi ha fatto ripensare a quella serata in sede che abbiamo vissuto con le immagini di Stefano Cioffi, il fotografo che ha ritratto gli scempi edilizi delle stazioni sciistiche d'Appennino ormai abbandonate. Molti di voi ricorderanno quelle foto che comunicavano un senso di desolazione. Gli insediamenti residuali che troviamo tra i boschi dei nostri monti somigliano molto di più a un quartiere dell'estrema periferia romana piuttosto che a un paesino di montagna isolato.
Ma non c'è solo questo nella riflessione di Flaiano. Mi sembra che preconizzi, con cinquant'anni di anticipo, l'avvento dei social. Possiamo condividere migliaia e migliaia di immagini e commenti ma abbiamo perso il valore più grande: la soddisfazione intima di ciò che abbiamo fatto, della meta che abbiamo raggiunto. Ormai conta solo dire la propria in questa gigantesca ruota mediatica. Siamo presi in questo ingranaggio dove conta solo far sapere cosa abbiamo fatto.
Allora riapro gli Scritti di montagna di Massimo Mila e torno a leggere Il successo (interiore) di chi scala una montagna. Mila riconosce che in società fa certamente più effetto raccontare di aver salito un 6000 sulle Ande piuttosto che una modesta cima in val di Susa. La sua etica alpinistica lo porta però a concludere che riuscire nell'impegno che ci siamo prefissati, per quanto irrilevante in termini assoluti, ci dona quella interiore euforia che nessuno ci potrà togliere. Mila termina così: c'è un Successo sacro, intrinseco all'uomo e immanente, e un Successo profano, tutto esteriore e ciarlatanesco. Naturalmente è il Successo sacro, cioè serio, quello che conta. 
Concludo con due raccomandazioni. La prima è leggere Mila (e, se volete, anche Flaiano per quanto non sia così immediato). La seconda è di cercare in montagna la soddisfazione intima, personale: un ottimo sistema per mantenere a lungo l'entusiasmo di andare in montagna e affrontare nel modo migliore gli anni che avanzano.

domenica 17 febbraio 2019

I due fili della sua esistenza

Le due grandi passioni di Massimo Mila furono la montagna e la musica. Critico musicale e autore di libri largamente apprezzato in Italia e all'estero, fu anche buon alpinista tanto da essere ammesso tra gli accademici del CAI, seppure per meriti culturali, come lui stesso ammise con la sua consueta autoironia.
Se scrisse moltissimo di musica per motivi professionali, scrisse anche molto di montagna. I suoi scritti furono raccolti, nel 1992, in un volume edito da Einaudi e ormai esaurito da lungo tempo. Alla fine dell'anno scorso, nel trentesimo anniversario della scomparsa di Mila, il CAI ha pubblicato I due fili della mia esistenza, volume che raccoglie i suoi scritti dedicati alla montagna. Il libro, che ora è disponibile nella nostra biblioteca, è diviso in due parti. La prima è dedicata alla cultura della montagna: quindi gli scritti raccontano delle motivazioni che ci spingono in montagna, dell'alpinismo come sintesi perfetta tra azione e conoscenza; due capitoli trattano di musica e letteratura di montagna. Non mancano gli scritti che testimoniano l'impegno civile. Mila ancora studente, nel 1929, scontò alcuni giorni di galera per aver sottoscritto una lettera di sostegno a Benedetto Croce, inviso al regime: quei giorni, durante i quali si trovò in compagnia degli intellettuali torinesi che condividevano la sua stessa sorte, sono raccontati  con leggerezza e ironia. Con lo stesso stile ricorda la fuga in montagna che seguì l'otto settembre. Ho letto con piacere questi racconti che non conoscevo in quanto non pubblicati sul volume di Einaudi mentre invece ricordavo bene le lettere scritte da Regina Coeli dove scontò, dal 1935 al 1940, una condanna per attività antifascista. In questo capitolo c'è anche il ricordo di Guido Rossa, autentico monumento all'alpinista e sindacalista ucciso dalle BR.  La prima parte si conclude con un Mila indignato con il CAI che, ancora nel 1966, non ammetteva le donne tra gli accademici, nonostante avessero tutti i requisiti richiesti.
Nella seconda parte si trovano, invece, i racconti delle ascensioni alpinistiche e sci-alpinistiche: tutte raccontate con autoironia e "antiretorica" benché fossero tutt'altro che irrilevanti. Mila è sempre affascinato dai grandi alpinisti, specie quelli che conosce e frequenta negli ambienti torinesi, con cui condivide alcune salite. L'ultimo capitolo è quindi dedicato ai protagonisti di grandi imprese da cui era stato particolarmente colpito. Il numero di racconti alpinistici è ridotto rispetto all'edizione Einaudi: è una scelta che condivido perché sono stati scelti i migliori ma anche perché si avverte un equilibrio tra la cultura della montagna, oggetto della prima parte, e l'azione della seconda, in modo che nessuna delle due sia prevalente rispetto all'altra.
Se posso trovare un difetto alla scelta operata dai curatori del volume è l'esclusione del bel racconto "Gli emigranti", scritto al ritorno da un'escursione in cui Mila e compagni incontrano e aiutano due sprovveduti provenienti dal mezzogiorno d'Italia che, con scarpe da città e una valigia di cartone, cercano di passare clandestinamente il confine con la Francia. Un racconto che, a settanta anni di distanza, è sempre drammaticamente attuale. Mi auguro che, operando questa scelta, il CAI non abbia dovuto pagar dazio al sentimento anti migranti che oggi prevale nel Paese.


domenica 27 gennaio 2019

Guido Rossa, un eroe operaio

Se avete letto il mio post della settimana scorsa, che potete comunque trovare qui sotto, sapete chi è stato Guido Rossa, o forse l'avete ricordato perché lo sapevate già da prima. Vi ho detto anche che la Biblioteca Nazionale del CAI lo ha commemorato nel quarantesimo anniversario della sua uccisione. Mi sembra opportuno farlo anche nella nostra sezione e ho chiesto quindi aiuto per reperire quanto più possibile materiale da rielaborare e condividere in una prossima serata. Ho telefonato alla Biblioteca Nazionale e devo dire che ne ho ricevuto un aiuto davvero significativo. Innanzi tutto la versione elettronica di un fascicolo di 28 pagine che il CAI ha stampato in un numero limitato di copie con scritti dello stesso Rossa, Enrico Camanni, Massimo Mila e Carlo Moriondo. Poi mi è stato segnalato il libro "Uccidete Guido Rossa" (che ho già provveduto a comprare) scritto da due giornalisti, Donatella Alfonso e Massimo Razzi, e appena pubblicato da Castelvecchi. Il sottotitolo recita: "Vita e morte dell'uomo che si oppose alle BR e cambiò il futuro dell'Italia"; è una frase ad effetto che serve a incuriosire i potenziali lettori e che potrebbe sembrare eccessiva. Però se avete visto la puntata di Passato e presente dello scorso 22 gennaio, su Rai Storia, curata da Paolo Mieli, vi siete resi conto che la frase non è così azzardata. In conclusione, Mieli sostiene che l'uccisione di Rossa, un operaio e un sindacalista, incrinò in maniera definitiva la saldatura tra BR e quella parte della classe operaia che le sosteneva. Nel finale della puntata Mieli ricorda la partecipazione di Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, ai funerali. Riprendo la citazione finale della trasmissione da Wikipedia.
<<Al funerale, cui partecipano 250 000 persone, presenzia il Presidente della Repubblica Sandro Pertini in un'atmosfera molto tesa. Dopo la cerimonia Pertini chiede di incontrare i “camalli” (gli scaricatori del porto di Genova). Racconta Antonio Ghirelli, all'epoca portavoce del Quirinale, che il Presidente era stato avvisato che in quell'ambiente c'era chi simpatizzava con le Brigate Rosse, ma che Pertini rispose che “proprio per quello li voleva incontrare”. Il Presidente entrò in un grande garage pieno di gente, “saltò letteralmente sulla pedana” e con voce ferma disse: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!”. Ci fu un momento di silenzio, poi un lungo applauso.>>
Chi è interessato può recuperare la puntata di "Passato e presente" su Raiplay.
Grazie all'interessamento della Biblioteca Nazionale, il CAI-UGET di Torino mi ha condiviso un documentario dal titolo "Guido Rossa, l'uomo che scalava le vette". Ci sono filmati di Rossa alpinista, interviste alla figlia Sabina, ad amici e colleghi, spezzoni di telegiornali d'epoca. Due passaggi mi sono sembrati oltremodo significativi: durante la spedizione in Nepal, Rossa rimane impressionato, più che dalla imponenza dei ghiacciai, dalla fame dell'Asia e matura la necessità del suo impegno sociale; poi, al momento in cui viene scoperto il "postino" delle BR, Rossa viene lasciato da solo quando bisogna verbalizzare la denuncia e per questo pagherà con la vita.
Il film mi ha tenuto incollato al computer: penso sia opportuno organizzare una proiezione in sede, arricchita dalle considerazioni personali di chi vorrà leggere il materiale che abbiamo a disposizione. Avremo bisogno della partecipazione di quanto più possibile soci, che vorranno intervenire o anche solamente ascoltare.

domenica 20 gennaio 2019

In memoria di Guido Rossa

Preparando la prossima serata e ragionando di montagna e di terrorismo non è possibile non incontrare il nome di Guido Rossa. Il bel libro "Di roccia, di neve, di piombo" di cui Rita ci parlerà venerdì 1 febbraio è dedicato all'alpinista e sindacalista assassinato dalle Brigate Rosse. Al di là delle notizie di cronaca ho approfondito la mia conoscenza di questo personaggio attraverso il libro "Il respiro delle montagne" di Paolo Paci e il ricordo di Guido Rossa scritto da Massimo Mila. Il primo libro è disponibile in biblioteca mentre a giorni ci arriverà la raccolta antologica degli scritti di Mila, curata dal CAI, dal titolo "I due fili della mia esistenza".
Lungo e importante è il curriculum alpinistico di Rossa, con molte salite di estrema difficoltà. Se non raggiunse i vertici dell'alpinismo del suo tempo fu dovuto al fatto che aveva cominciato a lavorare come operaio all'età di quattordici anni e poteva dedicare alla montagna soltanto le domeniche e venti giorni d'estate. Quando si accende in lui la passione sindacale e politica comincia ad andare in montagna sempre meno. In una famosa lettera che scrive all'amico Ottavio Bastrenta, Rossa parla dell'assoluta necessità di trovare "un valido interesse per l'esistenza, un interesse che si contrapponga a quello quasi inutile dell'andar sui sassi, un interesse che ci liberi dal vizio di quella droga che ci fa dimenticare di essere gli abitanti di un mondo colmo di soprusi e di ingiustizie, di un mondo dove un abitante su tre vive in uno stato di fame cronica. Per questo anche noi dobbiamo finalmente scendere giù in mezzo agli uomini e lottare con loro, allargare la nostra solidarietà che porti al raggiungimento di una maggiore giustizia sociale."
Guido Rossa denunciò l'infiltrazione brigatista nell'Italsider di Genova, dov'era rappresentante sindacale. Per questo motivo fu assassinato il 24 gennaio 1979. In questi giorni ricorre il quarantesimo anniversario: la Biblioteca Nazionale gli ha dedicato una conferenza con la partecipazione di sua figlia Sabina e di Enrico Camanni, uno dei più noti scrittori di montagna italiani contemporanei.
Nella nostra prossima serata avremo appena il tempo di accennare a Guido Rossa però mi riprometto di approfondire l'argomento con l'intenzione di organizzare una serata dedicata interamente alla sua figura e al suo impegno alpinistico e sociale. Non abbiamo certo i mezzi della Biblioteca Nazionale, però Alessandra Ravelli, che è la responsabile di quella importante istituzione del CAI, mi spedirà un fascicolo che il CAI ha fatto stampare per l'occasione, con scritti di Mila, Camanni e Moriondo e con la trascrizione integrale della famosa lettera di Rossa a Bastrenta. Con i libri che abbiamo, con questo materiale e con l'aiuto degli amici, penso che riusciremo a organizzare una serata interessante. Nel frattempo vi segnalo, martedì 22 gennaio alle ore 20.30 su RaiStoria, una puntata di Passato e presente, a cura di Paolo Mieli, dedicata alla figura di Guido Rossa.