Talvolta mi prende a male: per consolarmi rileggo qualche brano di un libro che mi ha appassionato. Ennio Flaiano si presta benissimo a essere riletto "a spizzico", così diventa uno degli autori preferiti nei momenti di malumore. Flaiano non ha scritto certo di montagna; ha indagato con lucidità i vizi della nostra società. Anche la fruizione del tempo libero dedicato alla montagna può essere riletto attraverso la sagacia e l'ironia di questo autore.
Eccovi un passaggio del frasario di Flaiano (tratto dal Diario degli errori, al frammento [356]): Un'isola deserta non è più deserta: è soltanto periferia. Non si evade più. L'ingranaggio è troppo potente e ubiquo. Siamo maturi per una globale ora del dilettante: ognuno dica la sua, ma in fretta.
Questa citazione risale a metà degli anni '60, quando la speculazione edilizia delle nostre montagne era ancora agli albori. L'isola deserta che diventa periferia mi ha fatto ripensare a quella serata in sede che abbiamo vissuto con le immagini di Stefano Cioffi, il fotografo che ha ritratto gli scempi edilizi delle stazioni sciistiche d'Appennino ormai abbandonate. Molti di voi ricorderanno quelle foto che comunicavano un senso di desolazione. Gli insediamenti residuali che troviamo tra i boschi dei nostri monti somigliano molto di più a un quartiere dell'estrema periferia romana piuttosto che a un paesino di montagna isolato.
Ma non c'è solo questo nella riflessione di Flaiano. Mi sembra che preconizzi, con cinquant'anni di anticipo, l'avvento dei social. Possiamo condividere migliaia e migliaia di immagini e commenti ma abbiamo perso il valore più grande: la soddisfazione intima di ciò che abbiamo fatto, della meta che abbiamo raggiunto. Ormai conta solo dire la propria in questa gigantesca ruota mediatica. Siamo presi in questo ingranaggio dove conta solo far sapere cosa abbiamo fatto.
Allora riapro gli Scritti di montagna di Massimo Mila e torno a leggere Il successo (interiore) di chi scala una montagna. Mila riconosce che in società fa certamente più effetto raccontare di aver salito un 6000 sulle Ande piuttosto che una modesta cima in val di Susa. La sua etica alpinistica lo porta però a concludere che riuscire nell'impegno che ci siamo prefissati, per quanto irrilevante in termini assoluti, ci dona quella interiore euforia che nessuno ci potrà togliere. Mila termina così: c'è un Successo sacro, intrinseco all'uomo e immanente, e un Successo profano, tutto esteriore e ciarlatanesco. Naturalmente è il Successo sacro, cioè serio, quello che conta.
Concludo con due raccomandazioni. La prima è leggere Mila (e, se volete, anche Flaiano per quanto non sia così immediato). La seconda è di cercare in montagna la soddisfazione intima, personale: un ottimo sistema per mantenere a lungo l'entusiasmo di andare in montagna e affrontare nel modo migliore gli anni che avanzano.
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