Il prossimo 28 gennaio
ricorrerà il cinquantesimo anniversario della morte di Dino Buzzati: uno dei principali scrittori italiani del Novecento,
giornalista per oltre quarant’anni al Corriere della Sera, fu anche buon
alpinista e fedele innamorato delle sue Dolomiti. Non sarò certo io, nello
spazio ristretto di questo post, a ripercorrere vita e opere di un personaggio
così importante per la cultura del nostro paese; potrete farlo agevolmente
cercando in rete. Mi limito a parlarvi brevemente del suo romanzo più famoso e
dei suoi scritti di montagna, cercandone le analogie.
Il
deserto dei tartari è
ritenuto uno dei romanzi più importanti della nostra letteratura del secolo
scorso. È ambientato in un luogo immaginario, la fortezza Bastiani, ultimo
avamposto del regno oltre il quale si stende un enigmatico deserto dal quale si
attende che arrivi il nemico, i Tartari. La vita militare è usata nella
narrazione come metafora del tran tran quotidiano che rischia di consumare
inutilmente l’esistenza. Ecco i temi della narrativa di Buzzati: l’attesa vana,
lo scorrere inarrestabile del tempo, la ricerca del senso della vita, la
trasfigurazione fantastica degli elementi naturali.
Buzzati fu anche molto
apprezzato per i suoi racconti: salvo rari casi non sono mai ambientati in
montagna nonostante le scalate su roccia e le Dolomiti fossero le sue grandi
passioni. Scrisse invece numerosi articoli sul Corriere della Sera narrando a suo modo
personaggi e vicende del periodo d’oro dell’alpinismo classico, dagli anni
Trenta ai Sessanta. Non fa mai cronaca, però, fa invece letteratura. Coglie i
grandi alpinisti in un attimo particolare e basta un gesto, un pensiero, una
visione a raccontarne la vita, il dramma e il genio. Indaga le ragioni
dell’alpinismo, ascolta la magia della montagna cogliendone il mistero e le
voci sommesse, si indigna per le infrastrutture che facilitano troppo l’accesso
alle montagne con una sensibilità ambientale in anticipo di tre o quattro
decenni. Canta il suo addio alle amate crode quando il suo tempo è ormai volato
via.
Gli articoli e i
racconti di montagna più belli sono raccolti in un’antologia curata da Enrico Camanni dal titolo Le montagne di vetro. Scrive Camanni
nella sua introduzione: Come il grande
ideale giovanile che si protrae irrazionalmente per tutta la vita, la montagna
viene a rappresentare per Buzzati il simbolo dell'inquietudine, della
precarietà, dell'attesa, del mistero. Metafora della sua vita e di quella idea
ossessiva della morte che ne segnerà tutto il corso e tutta l'espressione
artistica [...] Buzzati non si illude certo di ricavarne [dalla montagna]
felicità duratura, o gloria tra gli uomini, ma essa è l'apparente
materializzazione di un sogno che svanisce non appena viene toccato, non appena
cessa l'attesa.
Nella ricorrenza del
cinquantesimo anniversario della morte di Dino Buzzati avremo il piacere di
incontrare, via web, due eminenti conoscitori dell’opera dello scrittore
bellunese:
Marcello Carlino, nostro concittadino, è stato professore di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università La Sapienza e autore di un saggio critico su Il deserto dei tartari.
Enrico
Camanni, torinese, è alpinista
e una delle firme più autorevoli di libri e riviste di montagna del nostro
paese.
Mi auguro di
incontrarvi in queste due occasioni, di cui daremo informazioni dettagliate
nelle newsletter del CAI.
Marcello Carlino, nostro concittadino, è stato professore di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università La Sapienza e autore di un saggio critico su Il deserto dei tartari.
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