domenica 27 dicembre 2020

Mia sconosciuta

Mia sconosciuta è l'ultimo libro di Marco Albino Ferrari
La fascetta riporta un commento di Paolo Cognetti senza mezze misure: "Dopo tanti libri dedicati alla montagna, questo, dedicato alla madre, è il più intimo e bello che abbia letto". 
Il più bel libro alpinistico è, a mio avviso, Freney 1961. La storia è nota e si sa come va a finire: ma, nonostante ciò, quel romanzo dello stesso Ferrari ti tiene inchiodato alla pagina come un giallo. 
Con queste due premesse mi sono accinto a leggere Mia sconosciuta. Devo dire che l'impressione finale che ne ho tratto non si discosta affatto dalle aspettative: mi è sembrato davvero bello.
L'autore ripercorre le vicende della vita di sua madre con lo sguardo affettuoso del figlio e, allo stesso tempo, con lo sguardo indagatore del giornalista che ricompone gli eventi attraverso lettere, diari, fotografie. Rosamaria Ferrari, protagonista assoluta del romanzo, è stata la figlia ribelle di una famiglia lombarda dell'alta borghesia, insofferente a qualsiasi regola e convenzione sociale; ciò l'ha portata a vivere conflitti, spesso interiorizzati, che non potevano esplodere nell'Italia conformista e bigotta del primo dopoguerra. Li ha risolti, o per lo meno mitigati, attraverso i suoi due grandi amori: la montagna e il suo unico figlio, nato al di fuori del matrimonio, convenzione che non avrebbe mai accettato.
Durante la lettura, spesso mi sono chiesto come e perché l'autore abbia trovato il desiderio e il coraggio di raccontare le tensioni e le contraddizioni della sua famiglia: non deve essere stato un lavoro facile riaprire la cassapanca dove si erano accumulati i ricordi della vita di sua madre e renderli pubblici. Forse è stato il tempo a stemperare certi sentimenti e permettere di parlarne. In ogni caso, ne è valsa certamente la pena. Il ritratto che ne viene fuori è intimo, dolce e commovente ma allo stesso tempo nitido e preciso nei momenti di sconforto e disperazione. È il ritratto di una donna che riesce a ritrovare la sua armonia interiore sui sentieri che salgono nei più remoti angoli del Monte Bianco: suo figlio, ancora bambino, la ascolta mentre lei gli spiega la bellezza della natura dell'alta montagna e quando si lascia andare a qualche confidenza. Riemergono allora i ricordi, mai sopiti, delle giornate vissute in quei luoghi durante la sua giovinezza: è allora che il romanzo si riempie di suggestioni per il lettore.  


lunedì 2 novembre 2020

Le Orchidee del Lazio

Il libro Orchidee del Lazio, che avremo presto nella nostra biblioteca, è l'ultima fatica di Bruno Petriglia. Un manuale che guida nella ricerca e consente a tutti una sicura identificazione attraverso chiavi analitiche per generi e specie ma sopreattutto con più di 600 spettacolari immagini dell'Autore che illustra con dovizia di particolari le 94 specie rilevate nel Lazio ognuna in 4 pagine di schede descrittive corredate da mappe di distribuzione, non mancano lunghi elenchi di riferimenti bibliografici e località di presenza. Un'occasine e uno stimolo per approfondire la conoscenza di un territorio di una natura e un paesaggio di assoluto rilievo che l'Autore ha esplorato per circa 30 anni, percorrendo migliaia di chilometri, centinaia di escursioni, a volte brevi e comode, sovente lunghe e difficoltose, attraversando e ammirando tutti gli ambienti naturali del Lazio: praterie montane, garighe aride e assolate, ambienti umidi e faggete sterminate, macchie e boschi densi e ombrosi... perfino giardini pubblici e privati.

Molti di noi conoscono più o meno bene Bruno e spesso hanno apprezzato i suoi lavori. Lascio la parola a Carlo Maniccia per un commento finale:

Orchidee del Lazio è lo scrigno dove Bruno Petriglia ha depositato uno dei  gioielli più preziosi che la natura del nostro territorio custodisce: le immagini di 94 specie di orchidee spontanee, frutto di passione, meticolosa ricerca, studio e sapienza nel fotografarle e classificarle. Un irresistibile invito a scoprire e ad amare quanto ancora, ed è moltissimo, non conosciamo della natura che ci circonda.


giovedì 22 ottobre 2020

I polacchi di Anders che liberarono l'Italia

Furono i soldati polacchi a prendere Montecassino nel maggio del 1944, aprendo così la strada per Roma alle truppe alleate: questa è una storia nota. Meno conosciuti sono gli avvenimenti che precedettero questa battaglia e che portarono i polacchi a combattere a fianco degli Alleati.
La storia comincia nel settembre 1939, all'inizio della guerra, con la spartizione della Polonia tra Germania e Unione Sovietica. L'esercito polacco, ritiratosi verso est dopo l'aggressione nazista, divenne preda dei sovietici: moltissimi ufficiali furono uccisi, i soldati furono fatti prigionieri e inviati nei campi di lavoro in Siberia. Il quadro cambiò radicalmente nel giugno del 1941 quando la Germania ruppe il patto e attaccò l'Unione Sovietica. Improvvisamente i russi si ritrovarono alleati con i britannici: costretto a collaborare con Churchill, Stalin fu indotto a rilasciare i militari polacchi per farli combattere contro i tedeschi. Il generale Anders fu liberato dalla prigione dov'era detenuto e incaricato di ricostituire il II Corpo d'Armata polacco: riorganizzò così un esercito con i prigionieri che affluivano, in condizioni penose, dai campi di lavoro siberiani; i militari polacchi, ma anche i civili che fu possibile liberare, furono trasferiti con un lunghissimo viaggio dapprima in Persia, poi in Medio Oriente e in Egitto, tutti territori sotto il controllo britannico: qui furono addestrati e inquadrati in un vero esercito. All'inizio del 1944 il II Corpo polacco fu affiancato all'esercito alleato: fu protagonista della battaglia di Cassino ma anche della liberazione di Ancona e Bologna.
Alla fine della guerra la Polonia fu assorbita nella sfera di influenza sovietica e i polacchi, che erano stati prigionieri in Siberia, scelsero a malincuore di non rientrare più in patria. Il generale Anders rimase in esilio a Londra e quando morì, nel 1970, espresse l'ultimo desiderio: essere sepolto a Montecassino.

Questa è la storia in estrema sintesi. Possiamo ricostruirla in dettaglio attraverso due libri di recente acquisizione nella nostra biblioteca.
I soldati di Anders : l'odissea dei militari polacchi dalla prigionia in Siberia alla battaglia di Montecassino di Adam Kurlowicz, a cura di Aldo Kurlowicz è il diario di un soldato polacco, tradotta e rielaborata da suo figlio, nato e cresciuto in Italia. Racconta la storia dal punto di vista del soldato che accetta gli avvenimenti senza capirli, ma cercando di interpretarli con le poche notizie di cui dispone. Racconta le privazioni, la fame, le malattie, la perdita dei commilitoni ma anche la rinascita fisica e morale e i momenti di svago durante la riorganizzazione dell'esercito. La lettura è semplice ma l'ho trovata sempre interessante.
Memorie 1939-1946 : la storia del 2. Corpo polacco di Władysław Anders è la stessa storia narrata invece dal punto di vista del generale. Anders è un militare di carriera ma si rivela anche un fine politico e diplomatico. Racconta gli eventi dal punto di vista di chi partecipa alle decisioni prese ai massimi livelli e di chi ha la responsabilità non solo di un'armata ma anche di un popolo, perché si adopera per la liberazione di donne, vecchi e bambini, altrimenti destinati a morte sicura in Siberia. Tratta con Stalin il rilascio dei polacchi prigionieri, incontra Churchill per avere l'aiuto necessario dalla Gran Bretagna, concorda i piani militari con i comandi alleati nel Mediterraneo. Riscrive nel suo diario lo sviluppo degli eventi bellici vista dal punto di vista della Polonia e muove pesanti critiche alla politica staliniana. Dà un ampio spazio alle conseguenze delle conferenze di Teheran e di Jalta che decreteranno la fine dell'indipendenza polacca e il suo asservimento all'Unione Sovietica. Immagina, infine, il mondo nell'era della guerra fredda. Il libro è voluminoso e ricco di particolari, a volte prolissi, ma mi ha reso una visione della politica durante la guerra che non immaginavo.

Roberto Saviano ha raccontato questa storia in tv, potete rivederlo cliccando qui

Il cimitero polacco di Montecassino


Le tombe di Anders e di sua moglie

L'abbazia vista dalla croce dei polacchi su Quota 575


Omaggio alla tomba di Anders



lunedì 7 settembre 2020

La Grande Guerra negli occhi di una donna

Fiore di roccia, romanzo di Ilaria Tuti edito da Longanesi, è sembrato, a chi di noi lo conosce già, una delle migliori letture degli ultimi tempi. La storia, ambientata in Carnia durante la Grande Guerra, è romanzata ma basata su fatti reali: celebra la resilienza delle donne friulane che sacrificarono le loro giornate, e in qualche caso la loro vita, per rifornire gli alpini in prima linea di cibo, medicinali e munizioni. Ogni giorno portarono gerle pesantissime da valle fin sulle cime, contribuendo così alla tenuta del fronte; la sera poi, tornate a valle, c'era da rigovernare la casa, accudire gli animali, allattare i bambini. Furono sacrifici davvero durissimi. 

Eccovi la recensione di Nazzareno a cui spetta il merito di averci fatto conoscere questo bel libro.
Al centro del notevole romanzo di Ilaria Tuti è la vicenda delle Portatrici Carniche, una storia ignota ai più, colpevolmente dimenticata per lungo tempo e che l'autrice ha il merito di avere rievocato, offrendoci, oltre al piacere della lettura, un’ opportunità di riscoperta e di riappropriazione di avvenimenti tra i più importanti del processo fondativo del nostro Paese e di rafforzare, inoltre, il sentimento di compassione e gratitudine verso i caduti di quella guerra. Durante la Grande Guerra, guerra di posizione combattuta nel teatro delle Alpi Carniche contro l'esercito austriaco, alle donne di Timau, persone alle quali la guerra ha sottratto tutto e risparmiato nulla, tocca un importante ruolo di natura logistica. Lo stile narrativo di Ilaria Tuti coincide perfettamente col carattere asciutto e diretto della popolazione friulana e col paesaggio montano costituito dalle cime superbe e rocciose del Pal Piccolo e Pal Grande, del Freikofel e del Gamspitz ma il romanzo risulta al contempo intenso e coinvolgente poiché dalle azioni e dalle riflessioni di Agata, la protagonista, e degli altri personaggi che lo animano, si generano continue tempeste emotive, atti di sacrificio e di estremo eroismo scevro da ogni retorica e vanagloria, emerge, soprattutto la semplice verità sempre soppressa e offuscata dalle “ragioni”della guerra e cioè che il nemico è fatto della nostra stessa sostanza e che nutre gli stessi nostri sentimenti.   

Ora ci ripromettiamo di parlarne in una prossima serata, quando sarà possibile rivederci in sede, affidando la presentazione a una nostra lettrice che meglio interpreterà i sentimenti della protagonista. 

giovedì 13 agosto 2020

Gianni Mura e i racconti della bicicletta

Non c’è dubbio che il mito della montagna sia alimentato, nell’immaginario collettivo, dai grandi alpinisti e dalle salite più impervie: Bonatti e il Monte Bianco, Messner e gli Ottomila. Però c’è un’altra epopea nel racconto popolare, quella di Coppi e Bartali, dell’Alpe d’Huez e dell’Izoard, di Pantani e del Galibier: le cattedrali di pietra e le loro interminabili salite hanno acceso la fantasia di chi ha seguito le grandi corse ciclistiche. 

Per questo motivo troveranno posto nella nostra biblioteca I racconti della bicicletta di Gianni Mura. È una raccolta di cronache dal Giro (poche, agli albori della sua carriera) e dal Tour (tantissime e inimitabili) che il giornalista ha seguito per ben 33 anni. Nella prefazione del libro, Emanuela Audisio scrive che “Mura partiva per le corse con la gioia dei bambini che vanno al mare. Solo che le biglie con cui giocava erano vere”. Dai racconti si legge la passione profonda per il suo mestiere, per il Tour, la festa che anima le strade, per la provincia francese e le località dimenticate dove l’unico evento dell’anno è il passaggio della corsa, ma dove Mura trovava sempre una trattoria e un piccolo albergo, con le stanze ancora chiuse con la chiave perché le tessere elettroniche non sono ancora arrivate. Mura racconta la cronaca ciclistica ma non trascura mai il vissuto dei corridori, li rivela nel loro privato e nella loro umanità, nei loro giorni felici e nei loro drammi, senza nascondere le sue simpatie per i più combattenti e coraggiosi e le sue antipatie per i freddi calcolatori. E poi c’è la Francia: i suoi scrittori e i suoi cantautori che lo accompagnano sempre nelle tre settimane di corsa, li cita, li ascolta, rende loro omaggio al Père-Lachaise o nei cimiteri delle cittadine più piccole. Non dimentica certo di descrivere i paesaggi: la pietraia lunare del Ventoux e la vertiginosa discesa dal Tourmalet, ma anche i campi di girasoli e i platani del Midi, la pioggia battente sul pavé di Aremberg. La sua passione resta, però, sempre la cucina: dovunque si trovi ha sempre un buon indirizzo dove mangiare la specialità locale e, quando si trova nei paesi occitani, non rinuncia al suo adorato cassoulet, nonostante il caldo di luglio nel sud della Francia; il problema è, semmai, abbinare il vino giusto. Ma anche qui sa il fatto suo.

Una lettura che mi è sembrata affascinante nello stile narrativo, piena di curiosità e riferimenti culturali, di passioni autentiche. Termino con un'ultima considerazione. Mura smonta il pregiudizio che vuole i francesi altezzosi, pieni di spocchia verso gli italiani "macaronì". I nostri cugini transalpini criticano alcuni nostri tipici atteggiamenti di trascuratezza e superficialità ma hanno sempre rispettato i comportamenti esemplari, fino a un'autentica adorazione per i genii italici, da Leonardo da Vinci a Paolo Conte. Ricorda Mura che, nel 1965, siamo diventati "les Gimondì". Era già accaduto che la Francia adottasse Coppi, sarebbe poi accaduto per Chiappucci e Pantani. I francesi li hanno fatti loro, i francesi non giudicano la corsa in base all'ordine di arrivo. In Italia se fai 200 km di fuga e ti prendono all'ultimo sei un coglione, in Francia sei un combattente, quasi un eroe. Chapeau.

domenica 26 luglio 2020

Bentornato Nanni Settemrini

Enrico Camanni è certamente uno dei migliori scrittori italiani di montagna di questi anni. In biblioteca abbiamo diversi suoi titoli: si tratta spesso di libri che ricostruiscono vicende storiche legate alla cultura e alla frequentazione delle Alpi, non necessariamente in chiave alpinistica. Di recente abbiamo acquistato Alpi ribelli, storie di anime libere, contrarie e resistenti, da Fra Dolcino ad Alexander Langer, a Guido Rossa.
Camanni è anche un apprezzato scrittore di gialli di montagna centrati sulla figura di Nanni Settembrini, capo del soccorso alpino di Courmayeur: sono romanzi di fantasia costruiti su solide basi di conoscenza della montagna da parte dell'autore. Anni fa, Vivalda pubblicò tre titoli di questa serie: La sciatriceL'ultima Camel blu e Il ragazzo che era in lui. Sono disponibili in biblioteca, alcuni di noi li hanno letti con vero piacere.
A distanza di tempo, Camanni torna in libreria con un nuovo titolo imperniato sulle vicende di Nanni Settembrini: Una coperta di neve, edito da Mondadori, Chi ha letto gli episodi precedenti ritroverà i personaggi già conosciuti con le loro dinamiche esistenziali e gli ambienti severi e affascinanti del Monte Bianco. Anche questa volta non si tratta di un giallo "canonico": non c'è un morto e non si cerca un assassino. Una donna è stata sepolta da una valanga e il soccorso alpino l'ha salvata appena in tempo: si cercano altri eventuali alpinisti coinvolti ma sembra non ci sia nessuno, l'altro capo della corda è semplicemente slegato. La donna è in stato di choc e non ricorda nulla del suo passato, nemmeno il suo nome. Settembrini si avventura in questo nuovo caso inerpicandosi nelle vertigini del monte Bianco e calandosi negli abissi degli animi umani; attorno a lui figure femminili già note, le due figlie, l'ex-moglie, la compagna, l'anziana madre, che gli danno qualche grattacapo; accanto a lui stavolta c'è anche una psichiatra che lo aiuterà a decifrare i messaggi frammentari che arrivano dalla donna della valanga. 
Leggendo il libro si trovano forti e precise descrizioni dell'ambiente di alta montagna ma anche riflessioni sul mestiere di guida, sulla sovraesposizione turistica delle Alpi e i preoccupanti effetti del riscaldamento globale. Ma soprattutto si ragiona sul perché dell'alpinismo e l'inestricabile rapporto tra uomo e montagna.  Settembrini è un tipo che "non si sarebbe mai stancato di indovinare le vite. Detestava le masse e amava le persone. Le preferiva addirittura alle montagne"


sabato 4 luglio 2020

La Montagna Sacra come limite etico

Il famigerato distanziamento sociale ci ha imposto severe costrizioni ma ci ha portato anche dei vantaggi. Alcuni sono stati effimeri: il traffico è tornato rapidamente a livelli pre-covid, con dispiacere della categoria dei ciclisti urbani a cui appartengo; altri si spera siano duraturi: l'uso dei sistemi di videoconferenza via web è cresciuto esponezialmente e ci ha aperto prospettive interessanti.
La Biblioteca Nazionale del CAI ha trasferito i suoi incontri del ciclo "Leggere le montagne" sul web, dando così la possibilità di partecipare senza muoversi da casa, vantaggio non da poco per chi non abita a Torino o dintorni.
Giovedì scorso abbiamo assistito (uso il plurale, non ero il solo di Frosinone) alla presentazione del libro I paesaggi delle Alpi di Annibale Salsa, past-president generale del CAI. La conversazione ha toccato molti temi, affrontati con una grande preparazione in molti campi non alpinistici quali storia, economia, giurisprudenza: non sarò qui a darvene conto per motivi di spazio ma anche perché mi risulterebbe difficile riassumerli. Vi riporto un concetto su cui l'autore si è soffermato: il senso del Limite. Salsa distingue tra un limite oggettivo e uno soggettivo. Nei secoli passati l'accesso e la vita in montagna erano fortemente condizionati dalla natura del terreno o dalle condizioni climatiche, limiti oggettivi; negli ultimi anni, grazie alla tecnica che ha portato strade, impianti di risalita, materiali sempre più sofisticati tutti quei limiti sono stati fortemente ridotti, se non del tutto annullati. Ora i limiti che ci possiamo porre sono limiti soggettivi, sarà l'etica a porre limiti all'azione dell'uomo.
Venerdì leggo una lettera, pubblicata sull'omonimo settimanale de La Repubblica, indirizzata a Michele Serra, inviata da Toni Farina che si definisce rappresentante delle associazioni di tutela ambientale dell'ente di gestione del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Il lettore ci ricorda che fra due anni ricorrerà il centenario dell'istituzione di questa riserva e che "sarà l'occasione per riflettere sul ruolo dei parchi e non solo. Per riflettere sul futuro. Si parlerà di Limite.". Auspica infine che si istituisca, nel territorio protetto, "una Montagna Sacra, Sacra per tutte le genti e tutte le fedi. Dove homo sapiens, alpinista o meno, si impegna a non salire mai.". Sprona, infine, Michele Serra al ruolo di autorevole supporter di questa iniziativa. Inutile dire che il giornalista si dichiari immediatamente d'accordo con questa bellissima idea.
E' una coincidenza che a distanza di poche ore, in contesti diversi, sento parlare di Limite? è un caso che la nostra ultima serata ha trattato il tema delle montagne sacre? Non credo.
Nel 2022 si festeggeranno anche i cento anni del Parco d'Abruzzo, cui siamo legati da sentimenti e dalla vicinanza. Non sarebbe male che, anche in Abruzzo, una cima sia dichiarata Montagna Sacra "per tutte le genti e tutte le fedi".

sabato 30 maggio 2020

Assassinio sul Cervino

La nostra biblioteca si è arricchita di un bel giallo alpinistico. Lascio la parola a Federico che l'ha letto prima di me.

L’inglese Glyn Carr, pseudonimo di Franck Showell Styles, alpinista, esploratore e scrittore prolifico è l’autore di Assassinio sul Cervino.
Davvero un bel giallo che si legge senza la tensione del thriller e con il gusto di cercare d’individuare il colpevole prima della sua rivelazione.
Scritto nel 1951 ricalca molto lo stile e l’ambientazione british dei romanzi di Agata Christie: un omicidio è commesso da uno dei personaggi elencati ad inizio libro, come gli attori in una commedia. Ci sono più sospettati che nascondono tutti dei segreti che il detective scopre gradualmente rivelando i più clamorosi verso la fine.
Il protagonista della storia è Abercombie Lewker, brillante e originale attore shakespeariano dotato di senso di umorismo ed altrettanto intuito investigativo. È anche un detective privato, seppur dilettante, che ha lavorato nel corso della seconda guerra mondiale con il servizio segreto britannico.
Lewker però è soprattutto un grande alpinista.
In procinto di partire per le vacanze con destinazione Zermatt viene contattato dal suo ex capo dei servizi segreti che lo incarica di seguire Leon Jacot, già membro della Resistenza francese, che punta ora ad una carriera politica.
Anche quest’ultimo è un appassionato alpinista e anche lui è in partenza per Zermatt.
Jacot ha intenzione di scalare il Cervino a tempo di record ma qualcosa non va nel verso giusto e quando Lewker prova a raggiungerlo ne trova il corpo ai piedi della montagna, apparentemente precipitato durante la scalata.
Sembra una fatalità ma l’attore-detective arrivato sul luogo della tragedia scopre subito che non si tratta di un incidente ma di un omicidio. Jacot non è caduto come potrebbe sembrare, ma qualcuno lo ha ucciso con una sciarpa intorno al collo.
I sospettai sono molti: amici, nemici, accompagnatori e avversari politici, tutti presenti a Zermatt e tutti coinvolti nelle indagini.
Man mano gli indizi vengono scoperti. Le varie ipotesi e le ricostruzioni fatte da Lewker e da Herr Schultz, capo della polizia investigativa di Basilea, per arrivare alla soluzione del caso vengono descritte dettagliatamente, dando modo a chi legge di provare a cercare la soluzione del caso.
La descrizione dei luoghi, molto bella e accurata, denota la passione dell’autore per la montagna e la sua competenza.
Merita sicuramente un cenno la prefazione al libro. Scritta da Hervé Barmasse, s’intitola “Il Cervino, attore (non) protagonista”.
Barmasse evidenzia l’accuratezza delle descrizioni paesaggistiche ed alpinistiche e la descrizione degli usi e costumi della società del tempo, i luoghi e le montagne che gli escursionisti e gli alpinisti che si recano nella capitale svizzera dell’alpinismo frequentano.
Secondo il grande alpinista questo romanzo potrebbe essere inserito tra i capolavori della letteratura di montagna e quindi sicuramente nella libreria di chi ama leggere, di chi ama l’alpinismo e la montagna.
Non poteva mancare nella nostra biblioteca.



giovedì 2 aprile 2020

Le montagne di Fosco Maraini


Fosco Maraini è stato alpinista ma prima ancora etnologo e orientalista nonché scrittore. Prima del confinamento a casa, fortunatamente ho preso in biblioteca Farfalle e ghiacciai, antologia di scritti di Maraini, pubblicata da Hoepli nel 2019.
È una raccolta di racconti e articoli scritti per la Rivista del CAI. Sono stato spinto a questa lettura dalla fama del personaggio ma soprattutto da un suo racconto che avevo letto in passato: Quando salendo creavi il mondo. In questo brano Maraini descrive una salita al Gran Sasso negli anni ’30, in un mondo pastorale ancora primordiale; resta affascinato dalla solitudine e dallo sconfinato piano di Campo Imperatore che descrive come un altopiano del Tibet. In questo nuovo libro che ho appena letto, ho ritrovato quel senso di nostalgia per la montagna di una volta che costringeva a muoversi con una lentezza e una fatica oggi non più accettabili ma in un ambiente solitario e solenne che abbiamo irrimediabilmente perduto.
Maraini racconta le Alpi Apuane di cent’anni fa, abitate da pastori che non avevano mai visto la “civiltà”; una traversata in sci dalla Val Gardena a Cortina in tre giorni, per proseguire poi fino alla val Fiscalina, traversata che oggi si potrebbe fare comodamente in giornata usando gli impianti. Racconta del Sikkim, di un viaggio dalla foresta tropicale fino all'apparizione impressionante del Kangchenjunga e dell’incontro con le popolazioni locali; infine delle escursioni in sci in Giappone, nell’isola di Hokkaido. Nulla di alpinisticamente strepitoso ma una narrazione che trasmette un grande amore per la montagna, le sue suggestioni, le sue solitudini.

In attesa di riaprire la biblioteca ed eventualmente prestare il libro a chi interessa, vi suggerisco due spunti di lettura:
- il racconto: Quando salendo creavi il mondo lo trovate in rete cliccando qui;
- la descrizione di Fosco ad opera dell’alter-ego romanzesco di sua figlia Dacia, lo trovate di seguito.

Buona lettura e buona clausura

…la montagna è un destino di famiglia. Sua nonna descriveva foreste e giogaie persiane, suo padre si era arruolato tra gli alpini per poter stare vicino alle rocce boscose. Non ti ricordi quel mese di aprile / quel lungo treno che andava al confine/ e trasportava migliaia degli alpin…! Era il canto ritmato e dolce. Di un uomo che, nonostante i tanti amori e la famiglia numerosa, è sempre rimasto un solitario.
Come sono vivi quei ricordi di rifugi sepolti nella neve a cui si arrivava stanchi quando le cime si tingevano di rosso. Una stufa spenta, della legna bagnata, un pentolino in cui sciogliere un pugno di neve per gettarci dentro una minestra in polvere. Di notte il vento tirava fuori gli artigli e graffiava le finestre ghiacciate, la stufa fumava e lei tremava di freddo dentro il sacco a pelo. Ma suo padre era irremovibile:” Domani si raggiunge la cima più alta. Lì c’è un altro rifugio, chiamato della Madonna bambina. Dobbiamo arrivarci prima del tramonto. Basta partire alle sei”. “Ma alle sei è buio papà”. “E con questo? C’è ancora mezza luna, il riflesso della neve farà il resto.”
E infatti alle cinque erano già alzati a scaldarsi un poco di caffè in polvere dentro il pentolino pieno di neve. Un caffè che sapeva di minestra. Da mangiare c’erano solo biscotti duri come sassi. E per pranzo un pezzullo di formaggio e una mela.
Un uomo austero suo padre, ardimentoso, munito di un sorriso enigmatico. Aveva mai capito l’amore di quella figlia che, pur di stargli appresso affrontava i geli notturni, le scalate di ore e ore, la fame, le dormite sul pavimento di terra? Non era per niente sentimentale quel padre giovane e vigoroso. “Forza Cina, cammina più svelta sennò facciamo tardi e se il buio ci coglie stasera che non c’è la luna, finiamo dritti dentro un crepaccio.” E lei, con gli occhi pieni di vento, il naso gelato, i piedi indolenziti, gli correva appresso maledicendo la neve e i sentieri coperti di sassi.
(tratto da Colomba, di Dacia Maraini, ed. Rizzoli, 2004)





sabato 28 marzo 2020

Restate a casa, a guardare un film


A Natale dello scorso anno ebbi l'occasione di incontrare un collega che era andato in pensione mesi addietro. Durante lo scambio di auguri e chiacchiere, alla domanda come si trovasse da pensionato mi rispose con una frase che mi colpì: continuo a farmi la barba tutti i giorni. Voleva dire che non si era lasciato andare, che anche se non doveva uscire manteneva un'abitudine che denotava un'attenzione verso sé stesso. Ci ho ripensato in questi giorni di isolamento in cui ci mancano tante cose, non ultima la montagna. Ho continuato a radermi tutte le mattine anche quando non esco di casa, non rinuncio a fare qualcosa che tenga la testa impegnata in modo fattivo: leggere, scrivere, ascoltare la radio.
Ho qualche buona notizia per chi volesse tenere la testa impegnata e, al tempo stesso, sentire un odore di montagna, seppure soltanto virtuale. Stamattina ho partecipato a una web conference con il gruppo di BiblioCAI con l'idea di condividere in rete materiali di varia forma che riguardino in qualche modo la montagna. Da parte mia ho segnalato la bella selezione di contenuti audio operata da Nazzareno e di cui vi ho detto. In attesa che tutti i materiali vengano raccolti e riordinati vi posso intanto dare qualche spunto interessante.
Quest'anno non si terrà il tradizionale appuntamento del Film Festival di Trento. Ma se i festival si fermano ecco 100 titoli disponibili gratuitamente in rete, trovate la notizia cliccando qui. All'interno dell'articolo trovate tre film consigliati e la lista completa delle opere disponibili.
Vi giro un'altra segnalazione ricevuta e che mi sembra interessante: Ayas e la scomparsa della Krämerthal Questo documentario, realizzato nel 1997, ha ricevuto nel 2002 il "Premio Alessandro Valcanover per lo studio della montagna", conferito dall'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti.  Ayas è l’alta valle dell’ Evançon, ai piedi del Monte Rosa; Krämerthal - ʺValle dei Mercantiʺ - è il nome dato dai cartografi svizzeri del XVI secolo ai territori a sud del Colle del Teodùlo, governati dai Conti di Challant. Lo trovate cliccando qui
Nella speranza di alleviarvi questo periodo di isolamento e di mancanza di montagna, vi lascio con l'augurio di rivederci presto.

domenica 22 marzo 2020

Restate a casa, ad ascoltare la radio


Restate a casa a leggere, quale altro invito potrei rivolgervi. Mi dispiace enormemente aver dovuto chiudere la biblioteca del CAI ma bisogna rispettare le regole, senza eccezioni. Spero che abbiate qualcosa di bello da leggere nelle vostre biblioteche di casa. Ma se avete finito i libri o non avete più voglia di leggere mi permetto di darvi un altro suggerimento: ascoltate la radio. Vi segnalo due meritorie trasmissioni di RadioTre.

Ad alta voce è una rubrica di Fahreneit, il contenitore pomeridiano dedicato ai libri che va in onda verso le cinque con la lettura a puntate di un libro. L'archivio di audiolibri è disponibile su internet alla pagina https://www.raiplayradio.it/programmi/adaltavoce/
Potete scegliere tra moltissimi titoli. Nazzareno, fedele ascoltatore di RadioTre ha selezionato un paio di scrittori di montagna:
Chissà dov'ero quel 25 aprile è un racconto di Mario Rigoni Stern lo trovate qui
Un anno sull'altipiano famoso romanzo di Emilio Lussu lo trovate qui
Ma naturalmente potete scegliere dal catalogo degli audiolibri quello che preferite anche se non di montagna

Le Meraviglie va invece in onda sabato e domenica all'ora di pranzo: in ogni puntata uno scrittore racconta una meraviglia del nostro paese, una chiesa, un museo, un ambiente naturale. L'archivio delle puntate è disponibile alla pagina https://www.raiplayradio.it/programmi/lemeraviglie/
Sempre parlando di montagna, Nazzareno ha selezionato:
Campo Imperatore raccontato da Donatella DI Pietrantonio cliccate qui
I boschi dell'altopiano di Asiago (erroneamente inserito nel Piemonte) raccontato da Daniele Zovi cliccate qui
Il bosco di Manziana raccontato da Daniele Aristarco cliccate qui

Dall'archivio di Passioni che va in onda nella fascia serale, Nazzareno ha selezionato:
Tra i Giganti del Bosco del Parco Nazionale della Sila di Patrizia Giancotti cliccate qui

Un grazie di cuore a Nazzareno per questo paziente lavoro di ricerca negli archivi di RadioTre.
Un augurio a tutti di poterci rivedere presto e scambiarci qualche chiacchiera e qualche libro.

domenica 8 marzo 2020

La biblioteca al tempo del virus


Anche il CAI ha dovuto adeguarsi alle misure restrittive necessarie per contrastare il diffondersi del coronavirus, come avrete letto sul sito del CAI nazionale e nella comunicazione della nostra sezione. La sede resta comunque aperta e, d'accordo con il presidente, abbiamo deciso di lasciare inalterato il nostro appuntamento del lunedì sera per l'apertura della biblioteca. Saremo attenti a mantenere la distanza di sicurezza tra noi. Purtroppo, al momento non possiamo ancora programmare una prossima serata.
Nel frattempo, complice il maggior tempo che passeremo in casa, avremo il tempo per leggere un libro. In biblioteca abbiamo sei nuovi volumi; li ho soltanto sfogliati e non vi so dire molto. Resto sempre disponibile a pubblicare una recensione scritta dai lettori che apprezzeranno uno di questi titoli.


  • Assassinio sul Cervino è, come dice il titolo, un giallo ambientato sulla celebre montagna. È scritto da Glyn Carr, autore inglese che confesso di non conoscere. Il protagonista è l’attore shakespeariano Abercrombie Lewker, detective per passione ed esperto alpinista: sul Cervino cerca chi ha ucciso un uomo politico in ascesa. Sul gruppo BiblioCAI ho sentito parlare molto bene di questo libro.
  • Jon Krakauer è autore ben conosciuto: giornalista e esperto alpinista raggiunse la notorietà con "Aria sottile", ormai un classico della letteratura di montagna. Nel volume Estremi che abbiamo appena acquistato raccoglie storie e personaggi protagonisti di avventure appunto estreme, in diversi posti del mondo.
  • Lassù sulle montagne è una raccolta di articoli tratti dal Corriere della Sera che racconta un secolo di alpinismo: dall'epoca dei pionieri alle classiche imprese del periodo tra le due guerre, agli exploit di Bonatti e Messner. Il tutto raccontato da prestigiose firme del grande quotidiano. Ne trovate una recensione sul numero di febbraio di Montagne 360.
  • Il passo del vento è l'ultimo libro di Mauro Corona, scritto insieme a Matteo Righetto. I due autori raccontano ciò che per loro rappresenta la montagna, senza trascurare aspetti naturalistici e spunti di riflessione sull'essere umano.
  • Fosco Maraini è stata una personalità rilevante nella storia del CAI. È stato alpinista ma anche scrittore e fotografo. Ha scritto molto di Oriente dove ha lungamente viaggiato. Il suo racconto "Quando salendo creavi il mondo", ambientato sul Gran Sasso resta uno dei miei preferiti. Il volume Farfalle e ghiacciai, che abbiamo appena acquistato raccoglie scritti divisi in tre parti: Occidente, Oriente e Estremo Oriente.
  • Enrico Camanni è uno dei più bravi scrittori italiani di montagna. Nel suo Alpi ribelli racconta gli avvenimenti, ambientate su queste montagne, che vedono protagonisti quegli spiriti liberi che si sono ribellati e hanno scritto pagine di storia: da Fra Dolcino e i suoi eretici medievali ai partigiani che combatterono i nazifascisti, a Guido Rossa e al suo esempio di impegno civile.
Un ringraziamento a Cinzia e Nazzareno che hanno contribuito all'acquisto di questi libri.

domenica 2 febbraio 2020

L'animale più pericoloso



Luca D'Andrea è uno scrittore ormai affermato, tradotto all'estero in molte lingue. Nato a Bolzano quarant'anni fa, conosce molto bene le montagne dell'Alto Adige, o Sudtirolo se preferite, così come la gente che abita in quella provincia autonoma; ne sa leggere le tensioni non risolte e ci svela ciò che si nasconde dietro i magnifici paesaggi, i prati curatissimi, i balconi traboccanti di gerani rossi.
I lettori della nostra biblioteca hanno già avuto modo di apprezzare i suoi primi due romanzi, "La sostanza del male" e "Lissy". Sono due noir ambientati l'uno nelle spaventose gole che sono l'attrattiva turistica in un paese di montagna, l'altro in una malga isolata della Val Venosta. Entrambi i luoghi celano un mistero doloroso, entrambi i libri generano una suspense che attrae il lettore.
Ora in biblioteca abbiamo il nuovo romanzo di Luca D'Andrea dal titolo L'animale più pericoloso, fresco di stampa per i tipi di Einaudi. Stavolta siamo in alta Pusteria, tra fitti boschi, al cospetto di cime famose. Dora è alle prese con le insicurezze adolescenziali ma ha sviluppato una fortissima coscienza ambientalista, fondata su letture impegnative. Presa da questi entusiasmi giovanili, scappa di casa per salvare la tana di una lince, minacciata da un nuovo impianto sciistico. La novella Greta pusterese, però, è ancora troppo giovane e ingenua: l'amico conosciuto in chat si rivela ben presto diverso da quello che lei si aspettava. Sulle sue tracce, parte Viktor Martini, un capitano della stazione dei carabinieri di San Candido che si trova relegato lassù a scontare un passato poco limpido: è lui, che ha toccato con mano il male più efferato, a cercare una diversa chiave per scoprire il segreto di Dora e ritrovarne le tracce. L'impresa è tutt'altro che semplice perché tutti i protagonisti della vicenda hanno qualcosa da nascondere e si rivelano sempre diversi e sempre più pericolosi; e non si capisce mai chi è l'animale più pericoloso. Bisogna calzare gli scarponi per addentrarsi nei sentieri sconosciuti delle Dolomiti di Sesto e avere il coraggio di scendere degli abissi dell'animo umano.


lunedì 27 gennaio 2020

La via perfetta

La nostra biblioteca ha acquistato La via perfetta, edito da Einaudi, scritto da Daniele Nardi con Alessandra Carati che ha provveduto a raccogliere i diari dell'alpinista scomparso sul Nanga Parbat e ha completato il libro. Arturo lo ha molto apprezzato e ne ha scritto; gli lascio la parola.

Sono fiero di aver conosciuto Daniele Nardi, primo alpinista del centro-sud ad aver scalato ben 5 Ottomila, scomparso nel Febbraio 2019, sul Nanga Parbat, nel tentativo di aprire la prima salita invernale lungo lo sperone Mummery, “la via perfetta”. Qualche anno fa’, era il 2004, al ritorno dalla sua scalata dell’Everest fu organizzata una festa in suo onore presso un agriturismo di Sezze, il suo paese, ed ebbi modo di parteciparvi insieme ad altri amici soci CAI di Frosinone. Lì conobbi Daniele, ragazzo semplice e simpatico. Rimasi colpito dal suo entusiasmo che dimostrava per la montagna in genere, ma soprattutto dalla sua voglia di ripetere imprese alpinistiche sulle grandi vette dell’India e del Pakistan, lui che aveva cominciato dal Semprevisa, la cima dei Lepini che ben conosciamo. Pensai allora che sarebbe diventato un grande alpinista, come in realtà è accaduto. Ma come spesso succede nella vita dei grandi una tragica fatalità ha posto fine alla sua storia. Come si è sviluppata la parabola della sua avventura ce lo racconta lui stesso in questo libro, che però non ha potuto completare di sua mano.
“Se non dovessi tornare scrivi la mia storia.” mi aveva detto lassù. Un mandato in cui sono rimasta invischiata come lui nello sperone Mummery.
Alessandra Carati ha mantenuto fede alla promessa fatta a Daniele portando a termine questo meraviglioso libro di montagna, da lui iniziato, che ci fa conoscere e comprendere le motivazioni di questo alpinista quasi nostro conterraneo. Questa lettura non ci racconta semplicemente il suo sogno, ma soprattutto permette di scoprire la figura dell’alpinista e dell’uomo in maniera straordinaria e sconvolgente, di capire quali possano essere le motivazioni che l’hanno portato a rischiare ripetutamente la vita.
La vita di Daniele e il suo alpinismo appaiono incentrati sulla sua ambizione di compiere una grande impresa, che appare come un'ossessione. Le sue imprese, ad iniziare dalle prime esperienze sul Gran Sasso e sulle Alpi, passando attraverso le scalate dell’Everest, del K2, del Baghirathi III con Roberto Dalle Monache che gli valse il prestigioso Premio Consiglio, convergono verso la "via perfetta" che sembra rappresentare per lui il coronamento delle sue ambizioni, il  risolversi definitivamente come alpinista e, forse, come uomo. E’ costante nel racconto il suo desiderio di affermarsi nel difficile mondo dell’alpinismo che troppo spesso voleva sottovalutarlo in quanto proveniente da ambiente non alpino.
Un libro coinvolgente dalla prima pagina all'ultima. Tra l’altro vengono messi in luce diversi aspetti delle spedizioni d'alta quota, dove spesso i fattori economici hanno un notevole peso, al pari delle ambizioni personali, che portano a situazioni di conflitto con amici e colleghi della stessa spedizione o di spedizioni diverse ma comunque impegnate nella stessa impresa.
Emozionante il racconto dei vari tentativi di scalare lo sperone: mille metri di roccia e ghiaccio a 6000 metri, nelle terrificanti condizioni invernali di una montagna micidiale, con i campi intermedi sotto il tiro continuo delle slavine e dei seracchi. La sensazione è che il rischio fosse ponderato e che la via fosse possibile. Ma in una notte di gelo micidiale la grande montagna non glielo ha permesso. Resta il rimpianto per l'uomo, il marito, il padre, il ragazzo che forse avrebbe dovuto nascere altrove, per non portarsi dentro il peso di dover sempre dimostrare qualcosa in più. E non è giusto ora pensare che non si possa passare dal Semprevisa al Nanga, perché

“Un alpinista è un esploratore, non resiste a una via di cui si è innamorato, non può sottrarsi al desiderio di tentarla. Perché la visione iniziale è diventata un’idea, e l’idea un progetto a cui pensa tutti i giorni e a cui dedica le sue energie migliori”.




domenica 19 gennaio 2020

FALCO


"Falco, Falco da Papa Charlie!"
Attende, qualche secondo. Poi ancora uno. Due. Tre.
"Falco, Falco da Papa Charlie!"
Silenzio. Solo il rumore delle scariche elettrostatiche.
"Perché non risponde? La fa subito, di solito…"

Gli infermieri del Pronto Soccorso di Belluno sono in apprensione ascoltando la conversazione tra la centrale del Soccorso Alpino e Falco, l'elicottero dell'elisoccorso. È il momento più drammatico di FALCO I-REMS, il libro che ricostruisce l'incidente in cui, il 22 agosto 2009, perse la vita Fabrizio Spaziani insieme ai colleghi e amici dell'equipaggio di Falco.
Katia Tormen ha raccontato minuziosamente la vicenda avvalendosi dell'aiuto di Fabio Bristot, Consigliere Nazionale del Soccorso Alpino, per ricostruire tutti gli aspetti tecnici dei drammatici avvenimenti. Ne è scaturito un libro che ci colpisce e maggiormente ci coinvolge per il legame che abbiamo avuto con Fabrizio.
Il libro si apre con uno spaccato sulle vite private degli sfortunati protagonisti, raccontati nella loro vita privata, nelle loro passioni fortemente legate alla montagna, nei loro progetti a venire che non si sono mai realizzati; lo fa con affetto, come se si parlasse di amici. L'autrice usa nomi di fantasia quasi a voler trasformare persone reali in personaggi letterari, per circondarli di un'aureola di epopea. Il racconto prende invece il ritmo incalzante della cronaca quando il dramma si avvicina e gli eventi sono ricostruiti con precisione giornalistica. Il libro non trascura gli eventi che sono seguiti, accennando ai problemi di chi continua ad assicurare un servizio così importante, in una regione montana molto frequentata per la sua spiccata vocazione turistica. Durante tutto il racconto si percepisce sempre quel senso di appartenenza a una comunità valligiana che si è stretta intorno agli amici del Soccorso Alpino.

Gli autori saranno nostri graditissimi ospiti, sabato 25 gennaio alle 17.30, per presentare il libro ma anche per spiegarci nei dettagli come funziona il Soccorso Alpino e in particolare l'elisoccorso, con l'ausilio di immagini e video. Per questa occasione, abbandoniamo la nostra sede abituale della sezione CAI e ci incontriamo presso la Sala Teatro dell'Ospedale.
Vi aspetto.