domenica 2 dicembre 2018

Riflessi della Grande Guerra in Ciociaria

Cento anni fa finiva la Prima Guerra Mondiale. Molte sono state le rievocazioni che si sono succedute durante l'ultimo mese. Su suggerimento di Tonino, la nostra biblioteca ricorderà gli eventi di un secolo fa dal punto di vista della nostra terra, con la presentazione del libro Riflessi della Grande Guerra tra Ciociaria e Alta Terra di Lavorodi Costantino Jadecolastorico di Aquino, è ben conosciuto tra gli appassionati di storia locale e non solo. I suoi libri spaziano dalla vita di San Tommaso alla “strage dimenticata” di Vallerotonda, da Luigi Andreozzi, brigante di Pastena, alla storia centenaria della ferrovia Roccasecca - Avezzano. 
Vi lascio a un'anteprima dei temi trattati dal suo ultimo volume e vi do appuntamento a venerdì 14 dicembre alle ore 19,00 presso la nostra sede.

Ma cosa accadde, cento anni or sono o giù di lì, nell'attuale territorio della provincia di Frosinone, a quel tempo diviso tra la provincia di Caserta e quella di Roma, quando anche qui arrivarono i segnali di quella che poi sarebbe passata alla storia come la Grande Guerra?
Al di là delle prevedibili reazioni conseguenti la decisione dell’Italia di entrare in guerra, non può dimenticarsi che su una superficie non indifferente del territorio, cui si interessa il libro di Jadecola, a quel tempo erano ancora palpabili gli effetti del disastroso terremoto della Marsica (13 gennaio 1915) cosa, questa, che rendeva quei momenti ben più tragici di quanto di per sé già non fossero.
Infatti, per via di quella guerra, con gli uomini chiamati al fronte, i vari paesi colpiti dal sisma, che già stentavano a ritrovare quanto meno la parvenza di un accenno di normalità, venivano privati di una forza lavoro indispensabile visto che ancora si doveva porre mano alla riparazione dei molti fabbricati danneggiati ed alla ricostruzione di quelli distrutti.
Ma non solo questo. Infatti, un paio di settimane prima dell’entrata in guerra dell’Italia, giovedì 6 maggio, al polverificio di Fontana Liri c’era stata una violenta esplosione che aveva causato la morte di almeno nove persone ed un numero indefinito di feriti.
Tutto ciò mentre incombeva il reclutamento e negli uffici postali arrivavano a fasci le cartoline di precetto che imponevano a tutti i giovani abili alle armi di lasciare nel giro di qualche giorno la propria famiglia e la propria casa e raggiungere il distretto o il corpo assegnato.
Di essi, dei circa 14.000 giovani che erano partiti per il fronte dai circondari di Frosinone e di Sora, alla fine, quelli che non ce l’avrebbero fatta sarebbero stati poco meno della metà. Senza considerare poi, che, quando la tragedia bellica stava per concludersi, fu la volta di un altro evento catastrofico: la grande influenza, altrimenti nota come la “spagnola”, che fra il 1917 e il 1920 avrebbe ucciso decine di milioni di persone nel mondo ed anche qui da noi.
Questi, e naturalmente altri ancora, sono alcuni dei temi trattati in Riflessi della Grande Guerra tra Ciociaria e Alta Terra di Lavoro, il libro di Costantino Jadecola che, per la prima volta in assoluto, apre uno squarcio sulle drammatiche vicende che un centinaio di anni or sono, per via di quella guerra, tormentarono il territorio.

domenica 18 novembre 2018

Premio letterario Roberto Iannilli

Roberto Iannilli era il Presidente dell'Associazione Alpinisti del Gran Sasso quando un incidente sulla parete nordi di Monte Camicia pose fine alla sua esistenza terrena, insieme a quella del suo amico Luca D'Andrea. L'associazione decise allora di intitolare un premio letterario al suo presidente scomparso così tragicamente: è nato così il premio letterario Roberto Iannilli. Tema del concorso erano racconti reali o di fantasia legati a episodi o esperienze attinenti a figure di alpinisti, a riflessioni filosofiche, scientifiche o esistenziali relative all'alpinismo o all'attività svolte in montagna; consigliabile, ma non obbligatorio, un riferimento al Gran Sasso. 
Ho partecipato anche io al concorso.
Ora un libro dal titolo Trame Verticali raccoglie i migliori racconti, ordinati secondo la classifica stilata dalla giuria. Sfogliando le pagine potrete vedere come il mio racconto è stato valutato molto bene anche se non ho vinto alcun premio. Gli autori si sono orientati generalmente a raccontare salite di grande difficoltà alpinistiche. Non potendo fare altrettanto ho scelto una storia di fantasia. 
Non voglio e non posso dire di più, però riporto il commento che ho ricevuto da Angelo D'Agostini.

Caro Piero,
ho letto il tuo racconto “Salite e discese” recentemente pubblicato per l’editore “Il Lupo” e contenente i migliori lavori di un concorso letterario dedicato alla montagna abruzzese ed in particolare al Gran Sasso. Non avevo dubbi e non mi sbagliavo: è un racconto molto bello, ma vorrei provare ad argomentare questa mia opinione. Intanto, come ci hai abituato utilizzi sfondi diversi, la montagna o la bicicletta, per parlare d’altro e questo dà lo spessore letterario di una prosa che si discosta dalla semplice diaristica comprendente racconti di una escursione o di un viaggio. In quell'“Altro” c’è, secondo me, il tema che più ti spinge a scrivere: l’esercizio del ricordo che come istantanee si assiepano nella memoria riflettendo su ciò che è stato e sulla dolcezza della nostalgia. La montagna Abruzzese ne è la cornice, gradita complice di un particolare stato d’animo, ma il racconto potrebbe essere tranquillamente calato in un altro ambiente che per suggestione e potenza evocativa riesca a fissare ugualmente i momenti significativi della vita trasformati in ricordi. Una prosa non della quotidianità ma sulla quotidiana ricerca di stessi, elaborata attraverso la nostalgica rimembranza di un passato remoto o recente. D'altronde, le tue intenzioni le dichiari in apertura del racconto “Guardo una foto, mi torna sulla pelle il brivido di una sensazione mai dimenticata, un velo di nostalgia avvolge i miei pensieri…..”. Non manca, ovviamente, la vera essenza della nostra montagna, l’Appennino, con la sua solitudine e le sue presenze molto “particolari” estranee al turismo di massa Alpino. Una montagna, appunto, che induce a riflettere più sulla “provvisorietà dell’essere” che ad esaltare conquiste sportive. Mi son venuti in mente, leggendoti, alcuni racconti di Mario Tobino, autore purtroppo dimenticato.

domenica 28 ottobre 2018

Due classici tornano in libreria


Alcuni di voi ricorderanno la serata che, più o meno un anno fa, dedicammo a Massimo Mila: ripercorremmo la sua figura di musicologo e alpinista, senza trascurare il suo impegno politico e civile. Molte notizie sulla sua biografia e buona parte delle letture furono tratte dagli Scritti di montagna dello stesso Mila, pubblicati da Einaudi nel 1992. È un libro da tempo fuori catalogo che conservo gelosamente e che non mi sono sentito di regalare alla biblioteca del CAI. Sono stato tentato di farlo perché mi è sempre sembrato un testo importante per raccontare la cultura e l'alpinismo del Novecento però, con una punta di dispiacere, ha prevalso il sentimento di possesso. Il libro è rimasto nella libreria di casa mia. Per fortuna ci ha pensato il CAI a risolvere questo mio piccolo dilemma interiore. Sul numero di ottobre di Montagne 360, alle pagine 74 e 75, si dà ampio spazio a un nuovo libro, I due fili della mia esistenza edito dal CAI, che raccoglie gran parte degli scritti di montagna di Mila, arricchiti da materiale fotografico inedito. Non aggiungo altro se non che è un libro da comprare per la nostra biblioteca e vi rinvio alla lettura della rivista del CAI.

I libri alpinistici sono spesso ricchi di dettagli e informazioni sulle salite compiute ma altrettanto spesso hanno un livello letterario modesto; a volte però colgono in pieno la vicenda umana, al di là di ogni tecnicismo, e diventano romanzi avvincenti anche per i non addetti ai lavori. Uno dei più belli è, non solo a mio avviso, Freney 1961, di Marco Albino Ferrari. Si racconta la ben nota vicenda del tentativo di Bonatti al pilone centrale del Monte Bianco, insieme ai francesi guidati da Pierre Mazeaud. A pochi tiri dalla fine delle difficoltà le due cordate furono bloccate dal maltempo e costrette a bivaccare per quattro giorni, prima di cominciare una penosa ritirata che costò la vita a quattro alpinisti su sette. Ne seguirono roventi polemiche e pesantissime accuse a Bonatti, ritenuto responsabile della tragedia, accusato in patria e poi riabilitato dai francesi che, qualche anno più tardi, gli conferirono la Legion d'Onore "a un uomo coraggioso e generoso che non ha esitato a prendere tutti i rischi per soccorrere i compagni". Il libro di Ferrari è avvincente come un giallo e tiene il lettore incollato alla storia fin dalle prime pagine, anche se si sa fin dall'inizio come va a finire. Ne esistono diverse edizioni a partire dalla prima, del 1996, di Vivalda. In biblioteca ne abbiamo una copia, ripubblicata dal CAI nel 2016, nella collana Montagna Leggendaria. Qualcuno ricorderà che anche a questo libro dedicammo una serata, a cura di Arturo. Apprendo dal Venerdì di Repubblica del 19 ottobre scorso di una nuova edizione per Ponte alle Grazie, arricchita di qualche aggiornamento di non poco conto. Un punto chiave della difesa di Bonatti fu che le previsioni del tempo indicavano bello stabile quando, invece, si scatenò una tormenta che durò una settimana, nonostante si fosse a metà luglio. Ora è stato ritrovato un bollettino meteo della svizzera Radio Monteceneri che prevedeva, invece, da nuvoloso a molto nuvoloso. Questa nuova edizione potrebbe quindi riaprire polemiche mai completamente sopite.



giovedì 27 settembre 2018

Una pericolosa terrorista

Ci sono libri belli e meno belli; in maniera più o meno oggettiva possiamo dire che i libri ritenuti belli sono quelli che incontrano maggiori consensi tra i lettori. Comprendo che questa affermazione non trovi tutti d'accordo. Resta il fatto che un libro piaccia se è ben scritto, se la storia è avvincente, se i personaggi sono ben caratterizzati. Un libro però può piacere in modi diversi, ognuno lo filtrerà con la propria esperienza pregressa e con la propria sensibilità, ricavandone sensazioni differenti
Pochi mesi fa vi avevo parlato di “DI ROCCIA DI NEVE DI PIOMBO” di Andrea Nicolussi Golo, in un post che avevo intitolato "La montagna al tempo delle BR". L'argomento ha molto interessato Rita che ha letto, riletto e letto di nuovo questo libro che ha risvegliato in lei le emozioni indelebili di quell'epoca.
Lascio la parola a Rita.
 
Non sono  abituata a commentare libri o a scrivere per riviste o giornali. Amo i libri, amo la lettura, amo partecipare ad incontri culturali come quelli che organizziamo nella sede della biblioteca della nostra Sezione CAI. Mi fanno sentire viva e mi riempiono di compagnia e di entusiasmo.
Ho letto questo libro più volte ed ho cercato di capire perché mi ha attratta in maniera così forte. L’ho trovato molto bello perché scritto in modo originale ed  elegante. La prima lettura è stata veloce, era come se stessi leggendo un bel libro giallo e con ansia volevo arrivare a conoscere la fine della storia, ma questa curiosità non mi ha fatto cogliere la bellezza della scrittura e del racconto. Poi l’ho riletto una seconda volta e ancora una terza perché mi sono ritrovata interamente in questo libro. Le esperienze, gli ideali e le  speranze  dei protagonisti le ho vissute, in parte anch'io.
Gli ideali politici e il sogno rivoluzionario per cambiare il mondo mi hanno appartenuto per diversi anni della mia vita. Ho vissuto il sogno rivoluzionario ritrovandomi, con amici, molti fine settimana, in un paesino di montagna, Filettino, dove trascorrevamo intere notti a parlare, discutere, e sognare  la rivoluzione proletaria.
Ho vissuto per quaranta anni lavorando in fabbrica. Fedele ai miei ideali, non più rivoluzionari ma sicuramente socialisti  e proletari.
Negli anni settanta: le notti davanti ai cancelli, il volantinaggio, le assemblee di fabbrica,  i canti del lavoro e della protesta.
“La notte in fabbrica è ferita lacera sullo scorrere dei giorni”
LA MONTAGNA,  le prime arrampicate, gli incontri con persone che sono entrate per sempre a far parte della mia vita, le emozioni della conquista della vetta, ogni volta nuova e tutta da scoprire. La natura, la scoperta e la passione per i fiori di montagna, i canti alpini. Il desiderio di una vita di montagna, in montagna. La ribellione al sistema sociale distorto e ingiusto si è trasformato in amore sviscerato per la montagna simbolo di purezza, luogo lontano dalla città, dai fumi, dai veleni.
I protagonisti del libro li ho amati tutti insieme alla loro storia. In particolare Nives: Maria Santissima ad Nives, “corpo forte da donna di montagna e di fabbrica" .Con loro ho rivissuto tutti i sogni e le speranze  di riuscire a cambiare il mondo.  Ma come il corpo forte di Nives ”si scioglie e si confonde all'urina e agli escrementi”, così  i miei sogni. Ora sono in vetta e osservo amareggiata.
Grazie allo scrittore Andrea Nicolussi Golo per questo suo piccolo grande capolavoro.
 

domenica 9 settembre 2018

Confini


Il prossimo 4 novembre saranno compiuti cento anni dalla fine della Grande Guerra, un'occasione per tornare a parlare di quelle terre di confine dove si svolsero gli eventi bellici ma anche delle conseguenze che ne derivarono e della storia che ne seguì. In questo periodo in cui si rialzano muri alle frontiere e l'integrazione europea scricchiola vale la pena rileggere gli eventi accaduti in queste zone di montagna
Vi ho già parlato di Andrea Nicolussi Golo, era maggio, potete ritrovare qui sotto il post intitolato La montagna al tempo delle BR. Accademico del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna) e appartenente alla minoranza di lingua cimbra installatasi in Trentino in epoca medievale: mi è sembrata la persona ideale per una serata da dedicare alla ricorrenza della fine della guerra. Confido che si prenda il disturbo di venire a trovarci. Intanto mi ha segnalato due libri editi da Keller che ora sono disponibili in biblioteca. Keller è una piccola casa editrice trentina: il suo progetto Confini vuole "raccontare attraverso la letteratura internazionale la Prima guerra mondiale, cosa è accaduto e come ha segnato la vita del Novecento e talvolta del nostro tempo".
Ai margini della ferita di Sepp Mall è ambientato nella Bolzano (immaginata seppur mai nominata) degli anni Sessanta. Sono anni di forti tensioni, di separazione etnica, cioè una separazione linguistica, culturale ma anche fisica per chi è confinato a vivere nei condomini di Harlem. Sono gli anni del terrorismo, degli attentati contro i simboli del potere italiano e conto i tralicci dell'alta tensione. Il romanzo segue le vicende parallele di due famiglie di origini sudtirolesi che vivono ognuna un dramma interiore legato al clima pesante che si respira. La trama si snoda in un fluire di eventi sempre teso, raccontato dal punto di vista dei bambini, dei ragazzi, degli adolescenti: sono loro che non capiscono le ragioni di ciò che accade intorno e sognano di evadere; poi si prova un'attrazione per una ragazza o un ragazzo italiano e le cose si complicano.
L'angelo dell'oblio di Maja Haderlap è ambientato invece nella Carinzia, la regione più meridionale dell'Austria dove vive una minoranza linguistica slovena, in una valle di boschi, pascoli, piccoli paesi, masi isolati dove sopravvive una cultura contadina tradizionale, strettamente legata alla terra. Il romanzo è autobiografico e scritto in prima persona. L'autrice è ancora bambina e vive in una famiglia con un padre tormentato dall'alcool e una madre insoddisfatta, di stretta educazione cattolica: la bambina è molto legata alla nonna che affronta positivamente la vita ma porta le cicatrici del campo di concentramento femminile di Ravensbruck. La guerra è finita da un paio di decenni ma se ne parla ancora dovunque, in famiglia, tra parenti, nelle osterie di paese. Gli sloveni di Carinzia sono una minoranza etnica che ha pagato un tributo pesantissimo alla guerra e alle persecuzioni razziali dei nazisti. Neanche la pace porta una pacificazione; la strada per elaborare le sofferenze patite sarà lunga e difficile. Il fluire del racconto è, a volte, lento ma il finale è una stretta al cuore che non mi ha mollato. Il libro ha vinto nel 2011 il Premio Ingebor-Bachmann (di cui peraltro ignoravo l'esistenza).
Sempre sull'argomento mi è sfuggito un libro che valeva la pena citare. Ha rimediato Federico che lo ha letto e commentato così. Leggendo un articolo sui finalisti del premio Strega, mi è capitato di vedere la copertina del libro Resto qui di Marco Balzano: un campanile che emerge da un lago. Non poteva che trattarsi del Lago di Resia in Val Venosta. Il romanzo, bellissimo, commovente e coinvolgente, parla di coraggio e di amore per la propria terra e per una vita, tradizioni, cultura a cui non si vuole rinunciare nonostante gli altri vorrebbero obbligarci a farlo. La protagonista è una donna che fa di tutto per non dover emigrare e lasciare il suo maso a Curon, nel Sudtirolo. Trina, giovane donna di lingua tedesca cresce, studia, si sposa, affronta la guerra, la dominazione fascista, il controllo nazista e la paura di vedere il suo paese sommerso per il folle desiderio di Mussolini di costruire una diga. E’ ambientato durante il fascismo, quando il Regime tolse agli abitanti del Sudtirolo anche il diritto alla loro lingua, mettendo al bando il tedesco e facendo persino cambiare i nomi sulle lapidi nei cimiteri. A narrare in prima persona è Trina, la maestra, con una lunga lettera che scrive alla figlia di 10 anni scomparsa, alla quale racconta tutta la sua vita con la speranza di rivederla un giorno. La vicenda attraversa gli anni del fascismo e della guerra fino alla costruzione della diga a cui la protagonista si opporrà con tutte le sue forze.
Un'ultima segnalazione: è appena uscito Inganno di Lilli Gruber, terzo volume della trilogia che la giornalista ha dedicato alla storia del Novecento in Sudtirolo. Lo leggerò sicuramente perché i due precedenti mi hanno catturato. Qualcuno ricorderà che abbiamo parlato di Eredità, primo volume della serie, in una serata di qualche anno fa: il libro è disponibile in biblioteca.

lunedì 20 agosto 2018

Angoli di mondo remoti, ma anche no

Ho fatto vacanze brevi. La settimana di Ferragosto ero di nuovo a casa e ho ricominciato a leggere. Abbiamo dei nuovi libri nella nostra biblioteca e colgo l'occasione di ringraziare ancora il direttivo CAI che ci sostiene nell'acquisto.
Comincio da La lezione del freddo di Roberto Casati (Einaudi, 2017). Innanzi tutto devo un grazie alla bibliotecaria del CAI Firenze che mi ha consigliato questo libro del tutto particolare. Ridotto all'osso è un diario di vita familiare di (quasi) un anno, da fine agosto a giugno, vissuta in un casa tra i boschi del New Hampshire. Siamo vicini alla costa atlantica degli Stati Uniti a una latitudine italiana e a una quota appenninica, la cima più alta non arriva a 2000 metri: nonostante ciò fa un freddo pazzesco, il termometro scende a meno 20 e nevica continuamente da dicembre ad aprile. La famiglia conduce una vita normale: voglio dire che i genitori lavorano e le figlie vanno a scuola e in palestra o a scuola di musica. La vita si svolge però in un ambiente che immaginiamo con un certo sforzo, noi che siamo abituati a un freddo turistico. Il libro racconta di tutti quegli accorgimenti pratici che bisogna mettere in pratica per vivere in questo ambiente difficile ma l'autore, filosofo delle scienze cognitive, ragiona anche sulla differente percezione che si ha di noi e di ciò che ci circonda in condizioni estreme. Non ultime, il libro fa interessanti considerazioni sull'uso delle risorse naturali che le popolazioni che vivono al caldo e nell'opulenza sono abituate a sprecare. Insomma, il freddo è un maestro di vita. Il libro è arricchito dalle foto dell'autore.
Nazzareno, a cui devo un grazie per i ritagli di giornale che mette da parte per me, mi ha segnalato Il pastore di stambecchi di Louis Oreiller  con Irene Borgna della collana Passi del CAI (Ponte alle Grazie, 2018). Non l'ho (ancora) letto ma mi fido di quanto ne dice Paolo Cognetti: "il più bel libro di montagna che io abbia letto nell'ultimo anno". Louis Oreiller, il pastore, ha 85 anni, tutti vissuti in fondo alla Val di Rhemes a 1700 metri di quota. Da giovane ha fatto il contrabbandiere e il bracconiere; poi è passato dall'altra parte perché quelli come lui li assumevano come guardaparco, poi ancora guardiacaccia nella riserva. Della valle conosce ogni anfratto, ogni passaggio, parla con gli animali, tiene a mente tutti i pendii da cui scaricano le slavine. Irene Borgna, antropologa alpina, ha raccolto il racconto della sua vita e di un mondo che scompare. Trovate una sua intervista sul numero di giugno 2018 di Montagne 360 a pagina 62.
Alcuni di voi conoscono Emanuela Sanna perché ha partecipato a diverse escursioni organizzate dalla nostra sezione. L'editore Ediciclo ha appena dato alle stampe il suo libro Dolomiti insieme, guida escursionistica per tutti nei dintorni di Cortina d'Ampezzo. Emanuela mi ha fatto gradito omaggio di una copia. Il libro ha un tono minimalista e piacevolmente auto-ironico nel descrivere le passeggiate e le escursioni effettuate in Dolomiti con nonne e bimbi di tutte le età: gite alla portata di tutti, viste con gli occhi entusiasti di chi ha ancora il piacere di stupirsi di fronte alla bellezza di montagne tanto conosciute e frequentate. Ho rivisto con piacere qualche itinerario che, fatto ormai vent'anni fa e più, cominciava a svanire dalla memoria.
Non è finita qui: la nostra biblioteca ha acquisito altri due libri su cui bisogna ragionare. Datemi il tempo di finire il secondo, cosa complicata perché torno al lavoro, e di parlarvene sul prossimo post.




giovedì 21 giugno 2018

I periodici del CAI: su carta o in video?


L'amore per i libri è anche fisico. Quello che ci appassiona è il messaggio che ci arriva, il libro è solo il supporto materiale. Però ci affezioniamo a quest'insieme di pagine rilegate perché c'è una dedica, una nota a matita, o semplicemente perché è la copia che abbiamo letto, diversa da tutte le altre. Leggere sulla carta è sempre più piacevole che leggere da un video.
Uno degli obiettivi del mio lavoro è eliminare i documenti cartacei e trasformarli in digitali; certo non sono letture emozionanti, leggerli a video o sulla carta non fa una gran differenza, lo si fa perché si deve. Qualche volta però preferisco stampare un documento e leggerlo sulla carta, magari per scriverci su qualche appunto.
Anche Montagne 360, periodico del CAI, propone spesso letture interessanti, a volte avvincenti: è piacevole sfogliare le pagine patinate corredate di belle foto.
Con questa premessa l'idea di digitalizzare tutti i periodici del CAI, fin dalla sua fondazione, sembra un'idea fine a sé stessa, col solo scopo di liberare spazio sugli scaffali oppure di archiviazione a beneficio di chi non avesse tutti i numeri di tutte le testate. Invece questo enorme lavoro portato a termine dal nostro sodalizio ci dà delle capacità di ricerca davvero potenti. Sul sito http://www.tecadigitalecai.it/periodici/index.php potete ricercare qualsiasi nome (che sia di alpinista, monte, località, rifugio o quello che volete) su tutta la stampa sociale dal 1865 ai giorni nostri. Il vostro computer vi elencherà tutti i numeri del periodico su cui questo nome è comparso e vi mostrerà le pagine scansionate dove potete leggere la notizia che cercate. Naturalmente bisogna inserire opportunamente le chiavi di ricerca per selezionare accuratamente quello che vi interessa: digitando Bonatti o Dolomiti rischiate di trovarvi di fronte ad un elenco sterminato di notizie. Per cercare efficacemente conviene inserire più criteri di ricerca.
Un paio di esempi chiariscono meglio il concetto.
Digitando nel campo testo: Arturo Pellegrini e selezionando nel campo Titolo: Rivista Mensile del CAI troverete un lunghissimo elenco con voci riferite ai primi anni del '900, di sicuro non riferibili al nostro. Ripetete la ricerca digitando nel campo testo: Arturo Pellegrini Frosinone e troverete il risultato voluto: le tre pubblicazioni del nostro. Cliccate su una voce qualsiasi delle tre e potrete sfogliare le pagine della rivista partendo direttamente dalla pagina contenente l'articolo che cercavamo.
A questo punto la deformazione professionale prende il sopravvento sull'amore per il supporto cartaceo e sarei tentato di buttar via tutte le annate di stampa sociale che ancora conserviamo. Però, in fondo, troviamo un compromesso: se cerchiamo una qualsiasi notizia ci conviene farlo via internet ma poi è più bello leggerla dalle pagine patinate della rivista.






sabato 19 maggio 2018

La montagna al tempo delle BR

Succedono belle cose da quando tengo questo blog ma quest'ultima è davvero particolare. Dopo avermi letto, mi ha contattato Andrea Nicolussi Golo: appartenente alla comunità dei cimbri, popolo di origine germanica insediatosi in una valle trentina in epoca medievale, è uno scrittore di montagna, lavora presso lo sportello linguistico della Magnifica Comunità degli Altopiani Cimbri e collabora come operatore culturale con l'istituto cimbro di Luserna. Ha tradotto Mario Rigoni Sterno in cimbro, è accademico del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna (GISM).
Andrea (mi permetto di chiamarlo per nome, ci diamo del tu) ha regalato alla nostra biblioteca una copia del suo romanzo Di Roccia Di Neve Di Piombo edita da Priuli e Verlucca, nella collana I Licheni, nel 2016. La storia è ambientata, a metà degli anni Settanta, in una grande città del nord. Quattro ragazzi e una ragazza lavorano come operai nella grande fabbrica di auto (mai nominata esplicitamente): hanno origini e tradizioni montanare. Sono anni duri segnati da catene di montaggio. turni di notte, lotte sindacali, picchetti, violenze, sangue. E l'ombra inquietante del terrorismo. Le giornate spese in montagna sono una boccata di ossigeno, prima di tornare all'aria greve della città e della sua fabbrica: è anche l'occasione per misurarne la differenza rispetto ai ritmi e ai valori della vita su in valle che sta per essere risucchiata dalla modernità. La scrittura usa immagini, suoni, odori, per cercare di rendere sempre vivo il contrasto tra i due ambienti, tra i due estremi delle loro esistenze.
Ho letto il libro con avidità, cercando di assorbirne il più possibile, restando incollato alla pagina. Ogni tanto ho dovuto smettere: per uscire dalla storia quando si faceva inquietante, per riposarmi, per diluire il dolore. Vedere ricomparire i comunicati con la stella a cinque punte, per chi era giovane a quell'epoca, fa tornare su un'angoscia mai sepolta definitivamente.
Il libro fa riferimento esplicito a Guido Rossa, accademico del CAI, che abbandonò l'alpinismo per dedicarsi all'impegno sociale. Operaio all'Italsider di Genova e sindacalista, fu assassinato dalle Brigate Rosse nel 1979. Chi c'era alla serata su Massimo Mila, non avrà dimenticato la lettura del brano che lo ricordava. 
Il libro di Andrea Nicolussi Golo si apre con una citazione di Giampiero Motti:"Incontrerò una sera d'inverno Guido Rossa... Mi dirà che l'errore più grande è quello di vedere nella vita solo l'alpinismo, che bisogna invece nutrire altri interessi, molto più nobili e positivi, utili non solo a noi stessi ma anche agli altri uomini..."

Adesso mi sto dedicando ad altre letture. Ho cominciato l'ultimo libro di una vecchia conoscenza della nostra biblioteca, Francesca Melandri. La montagna non c'entra niente, diciamo che prendo un periodo di "vacanza".

domenica 13 maggio 2018

Nuovi libri

Sono arrivati quattro nuovi libri e ognuno ha trovato subito un lettore.

Federico ha letto Le nuvole non aspettano di Marco Pozzali e riassume così le sue impressioni:
Il racconto, bello e commovente, è ambientato in Patagonia. Le cime maestose delle Ande, a cui alterna richiami alle “sue” Dolomiti orientali come la Croda Bianca e le bellissime Marmarole,  sono descritte minuziosamente.
Il protagonista è un uomo ormai anziano che porta nel cuore un dolore troppo grande. Sergio ha un rapporto con la montagna di amore-odio. La montagna gli ha tolto un figlio, caduto mentre era con lui in cordata. A distanza di trent'anni da quella disgrazia parte per un lungo viaggio per arrivare  fino in Patagonia, portandosi dietro un dolore immenso. Ormai alla soglia dei 70 anni trova lavoro in una sorta di emporio-ferramenta in una località non lontana dal Cerro Torre, montagna che ha molto amato e dove ha scelto di ritornare dopo aver girovagato tra Italia e Argentina. Si intuisce abbastanza presto come andrà a finire, anche se il racconto gioca anche sull’”attesa” (di buzzatiana memoria).
Gianni Mura in una sua recensione  scrive: c'è qualcosa di buzzatiano nel vecchio alpinista che da solo va all'ultimo assalto, nell'indifferenza delle montagne addormentate. Il resto è una lunga e amara storia d'amore, raccontata con uno stile pulito, tagliente, splendido, come uno scorcio del Cerro Torre".

Arturo ha letto Assassinio sul K2 di Dusan Jelincic e lo racconta così:
I libri che amo di più leggere sono i thriller ed i racconti di montagna. Questi due generi si fusero insieme nel mitico “Assassinio sull’Eiger” di Trevanian che tanto mi appassionò, da cui fu tratto un famoso film del 1975 di Clint Eastwood e cui dedicammo anche una serata BiblioCAI. Ora mi sono imbattuto in “Assassinio sul K2” e l’ho letto con grande interesse ritrovando quelle atmosfere di suspense vissute in alta montagna, tra scalate estreme e misteriosi delitti e vendette, in un susseguirsi appassionante di rocambolesche situazioni, fino all'immancabile colpo di scena finale.
Forse questo libro non sta al livello del suo predecessore ma si fa leggere comunque con molto piacere. Ho scoperto lo scrittore e giornalista triestino, di origine slovena leggendo l’altro suo libro presente nella nostra biblioteca, “Dove va il vento quando non soffia”, dove ci racconta della sua scalata ad un Ottomila, il Gasherbrum II, vissuta come un’avventura di una persona normale, buon alpinista ma certo non fuoriclasse della montagna, che si porta dietro tutte le sue difficoltà, le sue apprensioni ed i suoi limiti, ma che alla fine riesce a portare a termine il suo sogno.
“Assassinio sul K2” ci dimostra come il male sia presente in tutti gli ambienti, anche nel mondo degli alpinisti, spesso descritti come eroi puri ed immacolati da una certa letteratura retorica e partigiana. Ma non credo che Jelincic con questo romanzo abbia voluto lanciare messaggi, come qualche recensore ha voluto sottolineare; credo piuttosto che si sia divertito a scrivere un giallo, un thriller ambientato in alta quota, spostando l’azione tra due montagne mitiche: proprio l’Eiger, guarda un po’, ed il K2. I protagonisti sono alpinisti di nazionalità e culture assai diverse, che il destino fa prima incontrare e poi diventare vendicativi nemici, in un’azione che si sviluppa a distanza di decenni tra vette e ghiacciai, accampamenti in quota e scalate al limite: una lettura piacevole ed appassionante certamente da consigliare.

Io ho letto Bambole di pietra di Paolo Martini: è la storia delle Dolomiti o meglio la storia di come queste montagne siano state percepite da alcuni personaggi di cultura che ne hanno scritto la storia. Quelle montagne misteriose e affascinanti scoperte da Dolomieu, che le percorse faticosamente a piedi oltre due secoli fa, sono oggi lo sfondo delle serate dei nuovi ricchi che raggiungono in elicottero ristoranti a cinque stelle, posti sotto le pareti più vertiginose. In mezzo ci sono i viaggiatori dell'Ottocento, gli alpinisti classici di inizio Novecento, l'esplosione del turismo di massa che ne è seguito. Il tono del libro è estremamente critico verso questa sovraesposizione turistica che ha banalizzato un mondo affascinante. Cosa salverà queste delicate bambole di pietra? nelle ultime pagine del libro si intravede una soluzione: la bicicletta, forse, se la sapremo usare con accortezza.

Mario Maniccia ha letto, invece, Il peso delle ombre di Mario Casella. L'autore allunga l'ombra del dubbio su alcune famose imprese alpinistiche, senza fare sconti a nessuno. Non vuole negare risolutamente l'esito di celebri salite ma si limita a insinuare il sospetto, scrivendo così un libro che si legge piacevolmente per il suo tono irriverente. Se c'è una tesi di fondo è che nel business dell'alpinismo bisogna raccontare comunque una meta raggiunta, una vittoria, se si vuole restare nel cono di luce mediatico.

Questi quattro nuovi libri sono ora sugli scaffali della nostra biblioteca, in attesa di nuovi lettori. 


domenica 6 maggio 2018

Convegno dei bibliotecari del CAI

Sabato sono stato al convegno annuale del BiblioCAI. Sono arrivato a Trento di buon mattino dopo una notte in cuccetta. Di fronte alla stazione c'è un bel parco pubblico, mi sono fermato a fare colazione poi mi sono seduto di fronte al piccolo laghetto artificiale: il sole cominciava a filtrare tra le nubi e le foglie nuove degli alberi. Ho preso il taccuino per appuntare le cose da dire e le domande da fare al convegno. In quel momento è passato un operatore ecologico o, se preferite il politicamente scorretto, uno spazzino: mi saluta e poi conclude: "Sta scrivendo? Bravo!". Mi sono reso conto di essere sbarcato in un altro mondo.
Vi riassumo gli argomenti più interessanti che sono stati presentati al convegno.
Innanzi tutto la digitalizzazione di centocinquanta anni di stampa sociale. Un raffinato criterio di ricerca permette di recuperare qualsiasi notizia pubblicata sulle varie testate del CAI impostando chiavi di ricerca e operatori logici per includerle e/o escluderle. Più facile a farsi che a dirsi: per questo motivo vorrei organizzare una serata in sede per illustrare ai soci interessati questo motore di ricerca. Ne darò avviso via newsletter.
Particolarmente interessante per noi la catalogazione dei beni musicali: testi, partiture, registrazioni sonore e così via. L'obiettivo del progetto è di poter fruire on-line di tutti questi beni cercando per vari criteri di selezione. L'argomento è complicato dalla estrema frammentazione di questi innumerevoli materiali e dai vincoli alla pubblicazione dovuti ai diritti d'autore. Il CAI sta valutando la possibilità di appaltare il lavoro di catalogazione a un esperto che abbia sufficienti nozioni di musica. Per ora c'è da aspettare. La nostra sezione, però, è stata individuata come un caso virtuoso, avendo sia un coro che una biblioteca, entrambi attivi. La responsabile della Biblioteca Nazionale si è resa disponibile per esaminare esempi del materiale che abbiamo e poi discuterne al telefono. Ci sarà da fare.
Da parte mia ho provato ad allargare il discorso dai problemi tecnici di catalogazione al coinvolgimento dei soci: devo dire che qualcuno ha raccolto la sollecitazione. Ne ho parlato abbastanza a lungo con la bibliotecaria di Firenze: non siamo andati al di là della considerazione che l'educazione alla lettura dovrebbe essere un problema delle istituzioni prima che del CAI però ci siamo scambiati impressioni di lettura, consigli sui libri letti e i contatti di posta.
Nel pomeriggio c'è stata la visita della biblioteca della SAT: occupa un intero piano di un antico palazzo rinascimentale e conserva pezzi interessantissimi, non solo libri. Noi neanche fra cent'anni.
La mattina sono venuti a salutarci il presidente generale del CAI e la neo-eletta presidentessa della SAT, la prima donna in centocinquanta anni di storia. Almeno in questo siamo arrivati prima noi.




domenica 8 aprile 2018

Il valore della rinuncia


I lunedì di gennaio, Silvia salì in sede per la nostra riunione settimanale: aveva preso in prestito La montagna dentro di Hervé Barmasse e lo aveva trovato molto interessante. Aveva anche visto un'intervista televisiva in cui l'alpinista valdostano raccontava la sua salita allo Shisha Pangma a cui aveva rinunciato a tre metri dalla cima! Ne era seguita una discussione sul valore della rinuncia e fino a che punto conta arrivare in cima se ciò può mettere a rischio la vita. A me aveva richiamato alla memoria la vicenda di Nives Meroi che aveva rinunciato al Kangchendzonga e a diventare la prima donna a salire tutti gli Ottomila quando, a poche centinaia di metri dalla cima aveva capito che suo marito aveva delle difficoltà di salute. L'alpinista friulana ha raccontato questa storia nel suo libro Non ti farò aspettare: è un diario ben scritto dei tre tentativi alla terza cima più alta della Terra ma soprattutto una riflessione sui valori dell'alpinismo accecato dal raggiungimento della vittoria a tutti i costi. Arturo, invece, aveva ripensato a Io, gli Ottomila e la felicità di Tamara Lunger, giovane e fortissima alpinista altoatesina: anche lei ha rinunciato alla cima del Nanga Parbat per non mettere a rischio i suoi compagni. Così avevamo deciso di organizzare una serata su questo tema affascinante, in bilico tra l'affermazione e la vittoria a ogni costo da una parte e la capacità di comprendere quando è meglio rinunciare dall'altra.
Silvia aveva anche provato a contattare Hervé Barmasse per invitarlo alla nostra serata, almeno in teleconferenza. In ogni caso avevamo deciso di fare questa serata appena avessimo ricevuto una risposta, positiva o negativa che fosse stata. Non abbiamo fatto in tempo.
L'idea di Silvia è però sempre attraente e abbiamo deciso di portarla a compimento. Annamaria l'ha raccolta e così contribuirà, insieme a me e Artuto, a ridare voce a quelle parole che Silvia non ha avuto il tempo di condividere con noi.
Vi aspettiamo in sezione venerdì 20 aprile.


martedì 20 marzo 2018

L'ultima partita di Silvia


È arrivato il giorno del post che non avrei mai voluto scrivere.
Con Silvia ci siamo frequentati assiduamente, tanti anni fa, accomunati dalla passione dei giochi da tavolo. Interminabili pomeriggi passati a tirare dadi, costruire strade e colonie, contrattare legname, frumento e pecore, inventare strategie e modificarle di continuo in virtù delle carte che la sorte ci assegnava. Silvia giocava con determinazione venata da una punta di cattiveria perché eravamo lì "per giocare, non per divertirci". Si faceva tardi e trovavamo il tempo per un'altra partita. Smettemmo quando i figli erano cresciuti e non avevamo più scuse.
Ci siamo ritrovati al CAI in tante piacevoli escursioni, un modo per scambiare una chiacchiera e qualche prelibatezza che tenevamo nello zaino.
Infine è stata la biblioteca che ci ha accomunato in questi ultimi anni. Silvia era sempre presente alle nostre serate, quando le era possibile, contribuendo così, come tanti altri, al nostro successo. Si è anche proposta a presentare e commentare qualche libro, affrontando la "scena" con risolutezza. Sempre propositiva ci ha dato incoraggiamento e nuovi spunti per allargare i nostri discorsi. Fu per questo motivo che la scelsi per condividere con me e Nazzareno il compito non facile di raccontare Massimo Mila attraverso i suoi scritti. Ritrovai allora la Silvia giocatrice: appassionata alla lettura dei brani che le avevo proposto, capace di stupirsi ed entusiasmarsi alla biografia e alla scrittura dell'alpinista e del critico musicale, personaggio di spicco della cultura italiana del secolo scorso. Ritrovai quella ferma determinazione nel giocare e cercare di vincere la partita, di rendere al nostro pubblico affezionato quanto aveva scoperto su Mila. Sulle ali dell'entusiasmo ci propose il tema di un'altra serata, ispirandosi a un'intervista televisiva di Hervé Barmasse che raccontava di aver rinunciato allo Shisha Pangma a tre metri dalla cima, ai libri di Nives Meroi e Tamara Lunger che hanno vissuto analoghe amare rinunce.
Non abbiamo fatto in tempo. Non ci siamo più visti. Negli ultimi mesi Silvia non ha voluto incontrare che pochi intimi familiari e amici. Mi è dispiaciuto non essere in questo ristrettissimo novero di persone ma devo dire, onestamente ed egoisticamente, che è stato un sollievo. Però le ho scritto per aggiornarla sul nostro ultimo progetto: mi ha risposto sempre coinvolta e propositiva. Ci siamo scambiati parecchi e-mail, le ho inviato una cosa che avevo scritto, mi ha risposto con apprezzamento e affetto, le ho scritto ancora e ho atteso invano una risposta.
Ad ogni nuovo tiro di dadi usciva sempre una combinazione infausta, la carta che teneva coperta aveva perso di valore, la sorte le aveva girato le spalle.
Restano ricordi bellissimi, una tristezza infinita, il silenzio.



domenica 11 marzo 2018

I libri, i ragazzi e la montagna


Nel volume Voci di montagna, una trentina di professionisti in vari campi: giornalisti, scrittori, docenti, artisti, religiosi anche se nessuno alpinista a titolo principale, raccontano la loro percezione della montagna attraverso le loro esperienze. Mi ha lasciato molto pensare Franco Brevini quando dice che “la montagna non esiste. Intendevo dire che quegli ammassi di rocce e di ghiacci non esistono se non nelle rappresentazioni variabili che l’uomo ne ha fornito attraverso i secoli. Le cime sono insomma invenzioni degli uomini, che le hanno viste, pensate, frequentate, raccontate e per farlo hanno proiettato su di esse gli schemi delle loro culture […] Oggi le montagne sono considerate belle, ma in sé le montagne non sono né belle, né brutte. È la comunità umana ad assegnargli un valore estetico, fornendo una rappresentazione che corrisponde ai propri bisogni. E infatti le montagne, che per secoli erano state maudites, «maledette», hanno cominciato a essere belle quando l’uomo del Settecento vi ha proiettato la propria ansia di sublime”. Brevini prosegue sintetizzando come la percezione della montagna si sia evoluta fino ai giorni nostri, scrivendo così una storia dell’alpinismo in due pagine, fino ad arrivare all’arrampicata libera. Chiude con la rinuncia di Nives Meroi a essere la prima donna a salire tutti gli Ottomila per soccorrere il marito che stava male. “La sua rinuncia vale più di molte vittorie” conclude Brevini. Il valore della rinuncia è un argomento molto interessante da trattare e due amici della biblioteca ci stanno lavorando su per preparare una prossima serata: di questo però parleremo un'altra volta.
ITAS, gruppo assicurativo di Trento, organizza annualmente Montagnavventura, un concorso di scrittura dedicato ai ragazzi che premia i racconti più belli ispirati alla montagna. I racconti migliori sono raccolti in un volume dal titolo L'avventura dell'altezza. La prima cosa che mi ha colpito è che alcuni sono scritti davvero bene, utilizzando una grande proprietà di linguaggio e immagini efficaci anche da parte dei più giovani; si nota anche una stragrande maggioranza di scrittrici nella categoria dei più piccoli (11-15 anni), percentuale riequilibrata nella categoria superiore (16-26). Il tratto più significativo dei racconti è però come i ragazzi abbiano proiettato sulla montagna la loro "ansia di sublime". Le montagne viste dai ragazzi sono tutt'altro che ammassi di rocce. Nei racconti fantasy assumono una personalità propria, divenendo personaggio a tutti gli effetti, a volte anche io narrante. Anche l'acqua del torrente diventa protagonista in prima persona del racconto. Oppure, più semplicemente, rappresentano ancora un mondo ideale agli occhi dei giovani scrittori: la montagna è un luogo a volta magico, a volte affascinante ma sempre rassicurante. Anche quando è teatro di storie tristi di guerra la montagna è un elemento di consolazione. Fa tenerezza vedere questo luogo idealizzato dopo che Brevini l'ha raccontato con crudo distacco. Trovate una recensione de L'avventura dell'altezza sul numero di Febbraio di Montagne 360.
La letteratura di montagna dedicata ai lettori più giovani comincia a destare un interesse sempre maggiore. Il CAI ha inaugurato una nuova collana di libri per ragazzi in collaborazione con le edizioni Salani: trovate la notizia sul numero di Gennaio di Montagne 360.
Sarebbe monto interessante allargare la nostra biblioteca ai giovani lettori e ai libri dedicati a loro. Non saprei da dove cominciare, i miei figli sono ormai troppo grandi. Però se qualcuno ha idee e voglia è sempre ben accetto.

mercoledì 14 febbraio 2018

L’impassibile anarchia della natura


Chi come noi frequenta la montagna invernale tra Lazio e Abruzzo si imbatte spesso in stazioni sciistiche sovradimensionate e abbandonate, figlie di un modello di sviluppo degli anni 1960-70 che ha segnato il paesaggio dell’Appennino. La mia sensibilità è stata colpita soprattutto dagli agglomerati turistici dei monti Simbruini, la cui fortuna iniziale era dovuta alla vicinanza con la capitale e presto cadute in un rapido declino, dovuto anche ai modesti dislivelli e alla bassa quota dove c’è neve sempre più di rado. Di Marsia mi ricordo tanta neve e tanti enormi palazzi tristi, abbandonati; a Livata tante villette chiuse a punteggiare di cemento la faggeta.
Stefano Cioffi è un fotografo professionista romano che, appassionato di paesaggio e di montagna, ha fatto un viaggio nei luoghi di villeggiatura invernale dell’Appennino laziale e abruzzese. Ne ha tratto un libro, La silente anarchia della natura che attraverso le immagini racconta la totale indifferenza della natura all’azione scellerata dell’uomo che ha invano e inutilmente cercato di colonizzare dei luoghi senza preoccuparsi di creare una relazione fra sé e i luoghi interessati. L’utilizzo quasi totale del campo lungo accentua l’effetto straniante delle sue inquadrature: sono visioni desolate e desolanti, immagini spettrali avvolte da un inquietante silenzio.
Durante la nostra prossima serata biblioteca del 16 marzo, Stefano Cioffi sarà nostro ospite e presenterà il suo libro; ci racconterà le sue impressioni attraverso un book di centocinquanta scatti, tra i quali ci sono le trentasei foto che hanno trovato posto tra le pagine del volume. Avremo quindi l'occasione di affrontare il tema mai risolto di quale deve essere il modello di sviluppo turistico dell'Appennino, da un punto di vista particolare: quello dell'impatto visivo che queste fotografie produrranno sulla nostra sensibilità. Sarà un ottima occasione per ragionare ancora, seppure in una diversa chiave di lettura, sul rapporto tra uomo e natura, tra uomo e montagna.
Vi aspetto.

domenica 21 gennaio 2018

Nuova collana "Storie di Montagna"

La nostra biblioteca ha acquistato la nuova collana edita da Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, dal titolo Storie di Montagna. Sono 25 volumi che trattano l'argomento da punti di vista molto diversi. La lista completa la trovate qui.
Di alcuni so dirvi, avendoli già letti. I progetti di studio e reintroduzione del lupo, il suo habitat e le sue abitudini sono raccontati da Marco Albino Ferrari in La via del lupo. A partire dai monti della Majella, questo predatore ha risalito e colonizzato la montagna fino ad arrivare nelle Alpi Occidentali: la convivenza con l'uomo però non è mai facile.
Paolo Rumiz è viaggiatore dai tempi e modi inusuali: con una vecchia Topolino percorre prima l'arco alpino e poi l'Appennino fino alla punta estrema della Calabria. Un viaggio che privilegia la lentezza e le strade dimenticate ma che favorisce incontri eccentrici, apportatori di nuove storie perse nelle pieghe della montagna. Il tutto è raccontato ne La leggenda dei monti naviganti.
Wu Ming è un collettivo di scrittori anonimi. Il sentiero degli dei è il titolo del libro ma anche l'antica via di collegamento tra Bologna e Firenze. Un libro che non è un romanzo, non è una raccolta di racconti, non è una guida né un resoconto di viaggio; neppure un'inchiesta giornalistica sui danni inferti al territorio da autostrade e ferrovie. Ma è un po' di tutto questo.
Henriette d'Angeville era una nobildonna che salì il monte Bianco nel 1838 (seconda donna in assoluto ma la prima a organizzare una spedizione in proprio). Racconta questa sua impresa, con ogni dovizia di particolari in La mia scalata al Monte Bianco.
Gli altri non li ho (ancora) letti però sembrano interessanti: In terre lontane, Walter Bonatti racconta le sue avventure nei luoghi più impervi e remoti della terra; Erri De Luca è Sulla traccia di Nives per raccontare dal vivo la grande alpinista friulana; Il leopardo delle nevi è un animale raro quanto elusivo e il viaggio di Peter Matthiessen alla sua ricerca diventa un viaggio alla scoperta di sé.
Di libri ce ne sono altri, qualche autore lo conosco, altri no. Ci auguriamo che qualcuno di questi libri comunichi sensazioni intense a qualche nostro socio: così ne ricaverà un'idea per una serata o per una recensione da pubblicare su questo blog, dove l'ospiterò volentieri. Sarà un ottimo spunto per scoprire un nuovo libro, un nuovo autore e arricchire la nostra comunità di lettori con una nuova emozione.

domenica 14 gennaio 2018

Una tragedia al femminile sul Pik Lenin

L'idea  che i lettori della nostra biblioteca ci aiutino a tenerci informati sui volumi della nostra biblioteca è subito piaciuta. Dopo che Federico ci ha presentato tre nuovi libri appena arrivati, Arturo Pellegrini mi ha inviato un suo contributo su un libro che, evidentemente, lo ha molto colpito. Vi lascio al suo commento di Qui Elja mi sentire? Otto donne sul Pik Lenin

Ho letto molti libri della nostra biblioteca, soprattutto quelli della recente collana Montagna Leggendaria del Corriere della Sera che raccoglie il meglio degli autori contemporanei. Soprattutto amo leggere i racconti degli alpinisti che ci descrivono e ci fanno vivere le loro avventure e le loro imprese. Spesso queste storie ci raccontano anche di tragedie e disgrazie che purtroppo spesso avvengono in ambiente di alta montagna. Questi racconti sono crudi ed agghiaccianti, ma è interessante anche rendersi conto di come certe cose possano avvenire; è avvincente scoprire le motivazioni che portano molti alpinisti a rischiare la pelle in ambienti particolarmente ostili e pericolosi per raggiungere una vetta o comunque un obbiettivo anelato e inseguito da una vita.
Tra questo tipo di letture mi ha particolarmente colpito Qui Elja mi sentite? Otto donne sul Pik Lenin di Linda Cottino. L’autrice, giornalista e scrittrice, ci racconta una tragedia avvenuta nel 1974 che ha visto coinvolta una cordata di otto donne, alpiniste sovietiche, coinvolte nello stesso destino. Il loro obiettivo era la traversata est-ovest del Pik Lenin, una delle più alte montagne del Pamir.
Elvira Shataeva dello Spartak Club di Mosca, svezzata tra i rigori gerarchici dell'alpinismo sovietico, dovrà condurre le compagne sulle atmosfere rarefatte dei settemila, mentre dal campo base si puntano i cannocchiali sulla montagna e alla radio sono dettati ordini e informazioni. I giorni passano, tutto sembra andare per il meglio, finché il meccanismo si inceppa a causa di qualche ritardo, dovuto ad un malore di una delle ragazze, e sopravviene il maltempo che blocca le ragazze poco sotto la vetta, dopo averla conquistata. Seguono lunghe e terribili ore; le ragazze nella tremenda tempesta che sopravviene non possono neanche raggiungere le tende del campo più alto, possono solo accucciarsi le une alle altre nella neve, attendendo qualche soccorso che non arriverà mai, fino alla tragedia finale.
La vicenda fu tenuta nascosta per quanto possibile dalla riservatezza dell’alpinismo sovietico di quegli anni. L’autrice, dopo aver visitato per caso dopo 30 anni le tombe delle alpiniste russe, si interessa alla vicenda. Partendo da lontani ricordi di pochi testimoni e dopo lunghe ricerche negli archivi di Mosca l’ha recentemente ricostruita e assemblata in una successione di quadri distinti. Ne vien fuori un’appassionante vicenda, scritta 'in soggettiva', che ci fa rivivere in diretta i tragici momenti di quella disgrazia. Struggenti le ultime comunicazioni radio tra il campo base e le alpiniste ormai morenti. Particolarmente toccanti le ultime pagine che raccontano gli ultimi attimi di vita delle ragazze. Un’emozione letteraria da vivere assolutamente. 

mercoledì 3 gennaio 2018

Storie di montagne e strade d'Italia

Anno nuovo e libri nuovi nella nostra biblioteca. Stavolta lascio la parola a Federico che li ha già letti tutti e tre. Buon anno a tutti !

La Pelle dell’Orso di Matteo Righetto racconta di Domenico, un ragazzo di 12 anni che vive sulle Dolomiti.
Le montagne, i boschi, la natura in generale descritti con cura non fanno solo da contorno alla vicenda ma hanno una grande importanza nel racconto.  Ma il tema più importante del romanzo è il rapporto tra padre e figlio.
La mamma di Domenico è morta e con il padre ha un rapporto per nulla facile. Provato dalla scomparsa della moglie è dedito all’alcol e addirittura violento con il figlio, che non smette comunque di volergli bene.
Il padre, per il desiderio di rivalsa nei confronti di chi lo considera solo un balordo e la volontà di mostrare a sé stesso e soprattutto a Domenico che lui è un uomo di valore, lo coinvolgerà in un’esperienza unica e spaventosa dalla quale apprenderà che la natura, per quanto pericolosa, non sarà mai crudele come gli uomini.
Lissy è il nuovo romanzo di Luca D’Andrea.
Avvincente come il primo, La Sostanza del male, il nuovo thriller narra di una donna in fuga e del mistero che porta con se.
Come il precedente, il romanzo è ambientato nel Sud Tirolo.
Marlene ha sposato Herr Wegener, l’uomo più temuto del Sud Tirolo e decide di scappare da lui dopo avergli sottratto un tesoro il cui valore va oltre quello del denaro.
Nella fuga, uscita di strada con la macchina, viene trovata e salvata da un contadino di montagna che abita in un maso sperduto in quota. Un uomo solitario che vive sulla montagna dove hanno vissuto i suoi avi e che segue e rispetta leggi antichissime. Un uomo con un passato spaventoso.
Il marito incarica un personaggio gelido e cinico che non si fermerà finché non avrà portato a termine il proprio compito.
Marlene dovrà capire quale sia la minaccia peggiore: il marito, il killer o il contadino stesso.
Oppure Lissy…
Storia e geografia del Giro d’Italia
Giacomo Pellizzari è un giornalista – scrittore amante del ciclismo.
Con passione in questo libro ripercorre l’Italia con un “Giro” di 21 tappe, forse le più affascinanti, che vanno dalla fuga solitaria di Coppi sul Pordoi agli scatti ripetuti di Marco Pantani sul Mortirolo, dall’impressionante tenacia di Merckx sulle Tre cime di Lavaredo all’eroica scalata sul Monte Bondone di Charly Gaul.
Un viaggio tra i sentieri silenziosi dell’Abetone nel Giro del 1940, sulle passerelle di barche allestite a Venezia per permettere l’arrivo a Piazza S. Marco nel 1978.
Ripercorre momenti fondamentali della storia del ciclismo ma, soprattutto, tappe uniche della storia popolare del nostro paese.