giovedì 9 settembre 2021

L'eredità morale del Sergente

Potrebbe sembrare una coincidenza. Gli ultimi cinque libri della nostra biblioteca che ho letto, per quanto molto diversi tra loro, hanno un tratto in comune: tutti contengono un riferimento di riconoscenza a Mario Rigoni Stern e alle sue opere. 
Daniele Zovi è nato sull’altopiano di Asiago e ha prestato servizio nel Corpo Forestale: era praticamente impossibile che il suo Autobiografia della neve non richiamasse lo spirito di Rigoni Stern in ogni pagina. 
Luca Mercalli chiude il suo Salire in montagna con un apprezzamento agli insegnamenti dell’autore del Sergente nella neve e con la citazione della frase più conosciuta, l’agognato ritorno a baita.
Nanni Settembrini, il personaggio di Enrico Camanni, richiama spesso ne La discesa infinita le sue letture preferite e non potevano mancare i racconti dello scrittore di Asiago. 
Irene Borgna racconta in Cieli neri un suo viaggio attraverso l’Europa alla ricerca di luoghi non contaminati dall’inquinamento luminoso: giunta a Foroglio, nel Canton Ticino, nell’unica osteria del paese siede allo stesso tavolo dove era uso prendere posto Rigoni Stern. Se ne rallegra e se ne compiace. 
Paolo Cognetti ne richiama diversi racconti nel suo Il ragazzo selvatico: infine descrive gli alberi attorno alla sua baita ispirandosi esplicitamente ad Arboreto salvatico. 
Non credo che sia una coincidenza, penso piuttosto che il messaggio che ci ha lasciato Mario Rigoni Stern sia più vivo e attuale che mai. 
Ora abbiamo in biblioteca l’ultimo libro che gli ha dedicato Giuseppe Mendicino, il suo biografo ufficiale, un volume dal titolo Mario Rigoni Stern Un ritratto, appena uscito per Laterza. 
La prima metà segue in ordine cronologico gli anni della gioventù vissuti sull’altopiano di Asiago; poi l’arruolamento negli alpini e l’esperienza della scuola militare in Val d’Aosta; la guerra su tre diversi fronti: Francia, Albania e Russia; il rifiuto di aderire alla Repubblica di Salò che gli costò venti mesi di prigionia nei lager nazisti. Questa prima parte, seppure piuttosto didascalica, è molto utile per capire bene la formazione della persona. 
La seconda metà del libro racconta l’attività dello scrittore e del suo impegno civile, senza più seguire il filo cronologico ma procedendo per caratteristiche tematiche. Un capitolo è dedicato alla produzione letteraria, sempre in bilico tra i ricordi di guerra e la vita sull’altopiano improntata a un equilibrio tra uomo e ambiente; un altro all’amicizia con Primo Levi e Nuto Revelli con cui condivise l’opposizione al nazifascismo e la passione per la montagna. Molto spazio è dedicato al rapporto dello scrittore di Asiago con la natura, principalmente quella dell’altopiano: una conoscenza approfondita e un amore sconfinato per piante e animali, senza però escludere l’attività venatoria seppur praticata con un profondo rispetto. Ennio Flaiano, pur fermamente contrario alla caccia, ne fece una sintesi felice: «Quella del suo fucile è una carica poetica». 
Il libro si chiude con un bel capitolo dedicato all’etica civile di Rigoni Stern: il senso della responsabilità e il coraggio che gli permisero di portare in salvo i suoi soldati, il ricordo di chi non era tornato o era morto durante la Resistenza, la difficoltà di perdonare chi aveva causato tanto male ritornano spesso nei suoi racconti che restituiscono una dignità letteraria ai dimenticati della storia. Un merito di Giuseppe Mendicino e di questo suo nuovo libro è quello di spiegare come «Mario Rigoni Stern diviene riferimento morale di un’Italia sobria, dignitosa e democratica». Approfitteremo del centenario della nascita, che ricorre il prossimo 1 novembre, per ricordarlo. Penso ce ne sia bisogno.