domenica 10 novembre 2024

Piedi freddi

Alcuni di voi ricorderanno Francesca Melandri, nostra ospite quando ci parlò di Eva dorme, un libro che ci è rimasto impresso nella memoria. Qualche anno dopo pubblicò Sangue giusto: un romanzo che narra in parallelo l’immigrazione verso il nostro paese e la guerra coloniale italiana in Etiopia; libro, anche questo, che mi ha lasciato un segno, seppure lontano dalle tematiche del CAI.
Quest’anno Francesca Melandri ha pubblicato Piedi freddi, per le edizioni Bompiani. Mi sembra utile parlarne qui perché prende spunto dalla storia degli alpini in Russia ma soprattutto mi sembra doveroso perché mi ha segnato e commosso.
Il libro è un lungo colloquio immaginario tra l’autrice e suo padre, giovane tenente degli alpini inviato in Russia, sul fronte orientale. Si percepisce l’affetto di una figlia che ricorda i racconti drammatici di suo padre, intrisi di fantasiose invenzioni per renderli più dolci alle orecchie di una bambina. Allora la narrazione si sofferma sull’aneddoto dell’ululato del lupo che gli alpini emettevano nella notte per spaventare i soldati russi dall’altra parte della trincea; o il fortunoso ritrovamento dei valenki, gli stivali di feltro che gli risparmiarono il congelamento dei piedi. Poi però la donna adulta si domanda con quale spirito il giovane tenente abbia affrontato quella guerra di conquista coloniale, combattuta dalla parte sbagliata. E ancora: l’ambiguo comportamento del suo genitore nel tragico periodo che va dall’otto settembre alla Liberazione. Allora il libro è al tempo stesso una ricerca della verità su suo padre e una riflessione sulla guerra che oggi torna alle porte dell’Europa, nella stessa terra già contesa ottanta anni fa; guerra combattuta per le stesse ragioni di sempre: un’invasione di stampo coloniale. La considerazione inquietante a cui si arriva è che la nostra generazione, vissuta in un tempo di pace durato ottant’anni, non sia nemmeno in grado di immaginare come potrebbe reagire la nostra società alla sciagurata eventualità di una guerra in casa nostra. E qui si impone una riflessione sul pacifismo.
Piedi freddi è un libro che è al tempo stesso romanzo, libro di storia, orazione civile.
Da quando l’ho letto sono tornato a seguire le vicende della guerra in Ucraina con rinnovato interesse; l’abitudine alle notizie quotidiane, che preferiremmo non ascoltare, ci porta all’assuefazione. Questo libro riporta drammaticamente la guerra alla nostra attenzione.

martedì 17 settembre 2024

Sguardi antitetici sull'alpinismo di fine Ottocento

Ho fortuitamente recuperato una copia, pubblicata a inizio Novecento, di Tartarin sulle Alpi, romanzo scritto da Alphonse Daudet nel 1885. Ne ho affrontato la lettura con un pizzico di curiosità ma anche con una certa perplessità. Devo invece riconoscere che il libro non cessa di stupire per la sua modernità. 
La seconda metà dell’Ottocento è stata l’epoca d’oro dell’alpinismo romantico quando esplose l’interesse per le salite più impegnative sulle Alpi da parte delle classi borghesi ma anche il periodo in cui si affermò il turismo alpino. Tartarino, è cosa piuttosto nota, è un personaggio di fantasia che millanta grandi imprese: nel primo volume della trilogia a lui dedicata insegue la gloria cacciando il leone in Africa; in questo secondo episodio è il presidente del Club Alpino di Tarascona e affronta le grandi vette alpine. Però Tarascona è circondata soltanto da dolci colline dove i soci tarasconesi credono di compiere chissà quali imprese; le Alpi, invece, sono tutt’altra cosa e il nostro protagonista non è assolutamente preparato ad affrontarle. Ne nasce una satira ancora molto efficace a distanza di tempo. Vi si possono ritrovare tanti temi ancora molto attuali: le fanfaronate che si raccontano, le aspre rivalità all’interno del CAI, le Alpi svizzere descritte come un immenso luna park confezionato per i cittadini villeggianti. Per dirla con Enrico Camanni: “Il turismo alpino è una grande, efficacissima fabbrica del falso”.
Insomma, una lettura divertente ma anche raccomandabile per non prendere il CAI troppo sul serio.

Di tutt’altro tenore è, invece, Tragedie Alpine, di Charles Gos, pubblicato in Italia da Baldini & Castoldi nel 1957 (l’edizione francese è del 1940). Sono resoconti di ascensioni, finite appunto in tragedia, nella seconda metà dell’Ottocento, che vedono protagonisti esponenti della migliore società inglese e guide locali; i gruppi montuosi teatro di queste avventure, concluse in modo drammatico, sono i più alti delle Alpi: Monte Bianco, Vallese (Cervino e Monte Rosa), Oberland Bernese. Il libro è molto ben documentato e riporta opinioni di persone estremamente qualificate: tanto per dire, l’autore conosceva personalmente, tra gli altri, Edward Wymper e Guido Rey. Il volume è corredato da foto in b/n di ottima definizione dove sono indicati con precisione i punti critici delle ascensioni e dove sono tracciate le linee di salita.
Al di là di questi puri tecnicismi, ho trovato la lettura coinvolgente, almeno per due motivi. Il racconto, sempre avvincente, mette in evidenza quelle minime fatalità che rappresentano la discriminante tra il successo della salita e la catastrofe: una specie di sliding doors, dentro o fuori è questione di un attimo. Certo è che le disgrazie furono numerose, anche in relazione al numero di alpinisti ben inferiori a quelli di oggi: tant’è che la regina Vittoria provò a “rendere pubblica la sua disapprovazione circa le pericolose escursioni alpine” ma ovviamente non fermò certo la corsa alle cime.
L’altro lato della medaglia è rappresentato dal punto di vista di guide e portatori. Erano sempre valligiani per cui il mestiere rappresentava una notevole fonte di guadagno: erano quindi spinti ad accettare il rischio pur di rendere più agevole la vita delle rispettive famiglie. Il libro cita casi in cui persero la vita dei fratelli oppure padre guida e figlio portatore. Il lutto che si abbatteva sulla loro casa rappresentava spesso anche una rovina per l'economia della famiglia.

mercoledì 24 aprile 2024

La Montagna Sacra

Nel 2020, un consigliere del Parco Nazionale del Gran Paradiso lanciò una proposta: «istituire nel territorio del Parco una Montagna sacra per tutte le genti e tutte le fedi. Una montagna “inaccessibile”, sulla quale l’Uomo si impegna a non salire mai. Si impegna ad accettare un Limite.». Fu scelto il Monveso di Forzo, un tremila al confine tra Piemonte e Valle d’Aosta. Non erano previsti né divieti né sanzioni, era piuttosto una provocazione, un monito a ripensare un modello di sviluppo fondato sulla crescita senza limiti del turismo alpino e delle sue infrastrutture. Questa proposta raccolse adesioni entusiastiche ma allo stesso tempo voci altrettanto critiche: anche il CAI lo accolse piuttosto tiepidamente. 
Enrico Camanni è ripartito da questa idea e ha dato alle stampe il suo ultimo libro dal titolo La montagna sacra, edito da Laterza. Questo saggio riesamina la percezione della montagna nella cultura occidentale che, negli ultimi due secoli, è stata improntata a una progressiva urbanizzazione delle aree alpine per soddisfare le necessità di un turismo sempre più massificato; parallelamente le culture orientali hanno sempre visto la montagna come una fonte di vita, attribuendole un’aurea di sacro rispetto. 
Camanni riepiloga la progressiva occupazione delle valli alpine secondo le ideologie dei vari periodi storici fino a concentrarsi sull’esplosione del turismo di massa del dopoguerra e la nascita dei sentimenti ambientalisti a partire dagli anni ’80. In questa sua ricostruzione riporta diversi pareri, a volte complementari, a volte totalmente divergenti, in modo da affrontare l’uso che si è fatto delle risorse naturali delle Alpi da diversi punti di vista. 
Giunge infine ai giorni nostri, segnati da cambiamenti climatici che richiedono sempre maggiori investimenti e pesanti infrastrutture per consentire di sciare a quote sempre più elevati; i costi nei comprensori turistici più richiesti lievitano in modo da accentuare le differenze sociali. 
Quale futuro si prospetta? Camanni individua nell’accettazione di un limite la chiave per impostare un diverso rapporto tra uomo e montagna, improntato alla sostenibilità che rispetti l’ambiente e l’economia delle valli alpine. Intanto, però, l’industria del divertimento non si ferma e progetta nuovi impianti e ulteriori urbanizzazioni che trasformano sempre più la montagna in una città con annesso il suo parco giochi.

venerdì 26 gennaio 2024

Riflessioni sulla montagna

La nostra biblioteca si è arricchita di due nuovi libri che, seppure molto diversi tra loro, invitano entrambi a qualche riflessione.

Sylvain Tesson è un famoso giornalista e scrittore di narrativa di viaggio: qualcuno di noi ha visto al cinema il film “A passo d’uomo”, tratto da un suo libro dove descrive le sensazioni provate nel traversare la Francia a piedi, dopo un brutto incidente che poteva condannarlo all’immobilità. In questo nuovo libro “Bianco”, edito da Sellerio, Tesson racconta la traversata delle Alpi in sci, da Mentone a Trieste, compiuta nell’arco di quattro inverni. Lo accompagna Du Lac, guida alpina e campione di arrampicata, tanto che Tesson si chiede perché uno molto più forte di lui accetti di averlo con sé in questo viaggio avventuroso. A loro, poi, si aggiungerà un terzo compagno incontrato lungo il cammino. Il racconto, organizzato in forma di diario in modo che ogni capitolo coincida con un giorno, è però diverso da quello che ci si potrebbe aspettare: di certo ci sono accurate descrizioni del paesaggio ma mai oleografiche, senza decantarne la bellezza, sempre permeate dall’esperienza personale; non c’è mai compiacimento nell’impresa, viene piuttosto descritta la paura nel seguire le tracce di Du Lac e il processo mentale per esorcizzarla; ci sono le visioni e i vagabondaggi mentali per ingannare il tempo durante le lunghe ore di salita; ci sono riferimenti letterari perché un piccolo libro è sempre un fedele compagno di viaggio oltre alla pesante attrezzatura. Così l’immersione nel Bianco serve anche a fare un viaggio dentro di sé alla ricerca dell’essenziale: la stufa, la minestra, il riposo dopo giornate di esaltazione, fatica, paura. 
Estrapolo una frase di Tesson: “In realtà essere al vertice non accresce mai il valore di una persona. L’uomo non si trasforma. Quando raggiunge altezze meravigliose, vi trasporta le sue miserie”.

Questo passo ci porta all’altro libro: La montagna vivente di Amitav Ghosh, uno dei più grandi scrittori indiani. È un breve racconto che tratta i temi cari all’autore: la tragedia del colonialismo, gli stravolgimenti dell’ambiente, le conseguenze nefaste del superamento di ogni limite. Con questo libro Ghosh racconta una favola dal finale amaro. Una comunità di montanari vive in una remota valle ai piedi dell’Himalaya seguendo consuetudini tramandate da tempo: la Montagna li protegge e li nutre ma nessuno dovrà mai salirla. L’arrivo degli stranieri sconvolgerà i ritmi naturali provocando danni sempre più rilevanti. Un invito a riflettere sul nostro presente.

lunedì 18 dicembre 2023

La notte del Cervino

Enrico Camanni è ben conosciuto da molti di noi che ne hanno letto i gialli imperniati sulla figura di Nanni Settembrini, capo del soccorso alpino di Courmayeur, e le storie dedicate a personaggi dell’alpinismo e della cultura di montagna. Le Commari, piccola casa editrice romana sensibile ai temi della montagna, ha appena ripubblicato il primo romanzo di fantasia di Camanni, La notte del Cervino.
L'autore scrive in prima persona, immaginandosi nei panni di una giovane donna. Chiara ha un passato giovanile di impegno politico e di idee rivoluzionarie; vive tra Ivrea, dove è nata, e Torino, dove studia, nel periodo che va dal Sessantotto all’assassinio di Guido Rossa nel 1979, attraversando così gli anni di piombo. Avviandosi all’età matura Chiara ha mantenuto i suoi ideali, stemperati però dalla necessità di dover trovare un lavoro che trova nel giornale locale; questa sua scelta l’ha allontanata da Anna, sua amica di sempre, rimasta ferma nelle sue convinzioni estremiste. Nella storia ci sono, però, anche due importanti personaggi maschili, entrambi assidui frequentatori della montagna: il padre di Chiara e soprattutto il direttore del giornale con cui si instaura un rapporto di complicità, nonostante veda il mondo da una prospettiva ben differente da quella della protagonista.
Il racconto si snoda tra i tormenti privati di Chiara e quelli pubblici dell’Italia degli anni ’70. La montagna disegna i momenti di svago: dalle passeggiate familiari con il padre alle escursioni più impegnative con il suo direttore; infine lui cercherà di convincere Chiara a salire insieme il Cervino. Queste parentesi avventurose fanno da felice contrappunto agli anni difficili che la giovane donna vive. La montagna non rappresenterà una soluzione ma sarà quella consolazione che permetterà a Chiara di sopravvivere alle delusioni della vita e della Storia.

lunedì 30 ottobre 2023

Due racconti di natura

Due nuovi libri in biblioteca raccontano diversi aspetti dell'ambiente naturale: La compagnia del gelso di Franco Faggiani e L'uomo che guardava la montagna di Massimo Calvi.
La prima recensione è a cura di Federico.

Aboca edita essenzialmente libri che hanno per tema la natura, la fauna, la flora, con particolare attenzione alla sostenibilità e ai nuovi modelli di sviluppo.
In questo ambito si trova la collana di narrativa “Il bosco degli scrittori” che comprende alcuni degli scrittori più sensibili al tema.
Gli autori raccontano storie del mondo a partire da un albero, ognuno con il proprio albero del cuore.  Quello di Franco Faggiani è il gelso.
In dialetto il gelso è detto lu porcu, perché della pianta come del maiale non si butta via niente, dallo sciroppo di more alle radici per la salute, senza dimenticare l’importante funzione delle sue foglie che nutrono i baschi da seta. 
Con La compagnia del gelso Franco Faggiani, giornalista e scrittore appassionato di montagna e di boschi ci consegna dei piccoli messaggi di conoscenze botaniche attraverso le divertenti avventure di alcuni personaggi spassosi, uniti dall’amore per la natura.
Il racconto inizia con la disavventura capitata al solitario professore Pier Maria Croz, milanese, da poco trasferitosi alla facoltà di Scienze Forestali dell’Università di Ascoli.  Viene investito da Nevio con la sua mitica Panda, “capo” di un’allegra combriccola di vecchietti, che scambia l’ingresso della villetta dove alloggia il professore con l’entrata della propria abitazione adiacente.
L’incidente però ha tutto il sapore di un segno del destino…

Un uomo alla fine dei suoi giorni chiede di essere portato davanti alla sua montagna: vuole attraversare l’ultimo tratto del suo percorso terreno nella contemplazione di uno scenario alpino che gli è particolarmente caro. L’uomo che guardava la montagna di Massimo Calvi, per le edizioni San Paolo, è un diario di questi ultimi tredici giorni. Mi sarei aspettato toni drammatici e interrogativi inquietanti che, invece, sono appena accennati. La contemplazione della montagna sembra infondere serenità nel protagonista nel suo tragitto verso una fine ineluttabile. Gli elementi del paesaggio contribuiscono, ognuno a modo suo, a risvegliare i ricordi di una vita e a tracciarne un bilancio che sarà inevitabilmente in chiaroscuro.
L’autore è caporedattore ed editorialista di Avvenire. Lo immagino uomo di fede e non so se ci sia qualcosa di biografico nel suo racconto. Le descrizioni della montagna, vivide nell’immaginazione e pacate nei toni, inducono tranquillità nel lettore. Non so se la montagna abbia davvero questo potere nel tratto estremo delle nostre vite. Però me lo auguro di cuore.


venerdì 1 settembre 2023

Il valore della montagna

Leggo da Lo Scarpone, notiziario della nostra associazione: “Giovedì 3 agosto 2023 presso la stazione sciistica a valle della cabinovia Forcella Sassolungo, si sono ritrovate alcune tra le principali associazioni del territorio alpino. [...] La protezione delle Alpi è una delle principali preoccupazioni delle organizzazioni alpinistiche e ambientalistiche. Uno sviluppo incontrollato e senza limiti minaccia lo spazio alpino, ogni nuova invasione ne diminuisce il valore.”. Trovate l’articolo completo cliccando qui.
Un grande ampliamento degli impianti sciistici attorno al Monte Rosa prevede di deturpare il vallone di Cime Bianche, in val d’Ayas. Marco Albino Ferrari, noto scrittore e giornalista di montagna, si è speso per la salvaguardia dell’ambiente alpino e di questa area della Val d’Aosta in particolare: forse, allora, non è un caso che la presentazione del suo libro Assalto alle Alpi, fresco di stampa per Einaudi, prevista lo scorso 8 luglio presso il forte di Bard, sia stata cancellata. Trovate l’articolo completo cliccando qui.
Allora vale la pena leggere questo breve saggio di Ferrari. L’autore basa il suo ragionamento partendo da una citazione di Oscar Wilde: “La gente conosce il prezzo di tutto e non sa il valore di niente”. Quindi il punto dirimente è se perseguire la redditività economica, qualunque sia il mezzo, o identificare nell’ambiente alpino valori da tutelare. Ferrari ricapitola brevemente la storia della civiltà alpina, un mondo chiuso e ostile dove l’uomo però ha manifestato grandi capacità di adattamento anche grazie a uno spiccato senso di collettivismo (usi civici, le Regole delle comunità cadorine o dei Sette Comuni); fino al punto di rottura avvenuta negli anni del boom economico quando il turismo di massa, spiccatamente invernale, ha sconvolto ogni paradigma, modificando l’architettura e il paesaggio, mutando la percezione dello spazio, grazie a nuove strade e impianti, e del tempo: una volta basato sulle stagioni atmosferiche e ora su quelle turistiche, “alta” e “bassa”. Negli ultimi decenni sono cresciute attività più soft come il trekking, lo sci di fondo o lo scialpinismo ma non è diminuita l’artificializzazione degli spazi o la richiesta di servizi di lusso in quota che stridono con la sobrietà dei rifugi di una volta. L’offerta turistica insegue sempre la domanda, improntata a parametri cittadini, che vuole stelle Michelin anche a duemila metri. Il senso del limite che ispirava la vita alpina è ormai stravolto dalla cultura dell’eccesso dell’età contemporanea.
Le cose non sembrano destinate a cambiare. Ormai si è proiettati verso le Olimpiadi del 2026 che promettono, a parole, un assoluto rispetto per l’ambiente ma prevedono altro cemento e opere di alto costo e scarsissimo utilizzo futuro: una su tutte, la discussa pista di bob, slittino e skeleton, discipline che contano in Italia appena 34 praticanti. La conclusione che Ferrari delinea nell’ultimo capitolo, per chi vorrà leggere il libro, sembra allora l’unica possibile, benché possa apparire drastica e anche utopica.