martedì 22 aprile 2025

Storia di un albero

C’era una volta un abete gigantesco, probabilmente l’Abete bianco più maestoso e imponente d’Europa. Ho cominciato così perché la storia che Marco Albino Ferrari racconta nel suo ultimo libro, Il Canto del Principe, edito da Ponte alle Grazie, ha l’incedere di una fiaba. Invece non lo è, è una storia vera. 
Questo albero così imponente si trovava sull’altipiano di Lavarone e fu abbattuto da una tempesta di vento nel novembre 2017 (non era ancora Vaia). La sua fine fu causata dall’incuria di alcuni ragazzi che ne intaccarono la corteccia, ma ciò accadeva diversi decenni fa. Ma si sa, il tempo degli alberi e dei boschi è molto più dilatato rispetto al tempo degli uomini.
Questo grande abete tornerà a vivere: dal suo tronco è stato ricavato il legno per costruire un quartetto d’archi: strumenti molto particolari, sono bianchi e non rosso-bruni come tutti gli altri. Strumenti però destinati a suonare per secoli e ricordare il grande abete. Gli alberi conoscono tempi che gli uomini possono soltanto immaginare.
Attraverso le pagine del libro, l’autore ci racconta l’importanza simbolica che questo abete aveva per la comunità locale, risalendo alla colonizzazione dell’altipiano da parte degli antichi Cimbri e dei loro successori. La storia ci parla della cura che queste popolazioni avevano e hanno ancora per i loro boschi e il loro territorio. L’ambiente va preservato non lasciandolo nello stato selvaggio ma avendone una cura attiva, da parte dell’uomo: questa è la morale di questa storia.
La lettura di questo libro mi ha indotto a rileggere qualche pagina di Mario Rigoni Stern. Nel suo Arboreto salvatico, cita «il bellissimo Avez del prinzep (Abete del principe) in quel di Lavarone, alla cui ombra amava sostare Sigmund Freud e che certamente è stato ammirato anche da Robert Musil». È sempre un piacere avere una scusa per rileggere lo scrittore di Asiago.
Termino con il commento di Corrado Augias: «La magia di un albero che muore e risorge, dal fruscio delle foglie al suono di un violino. Un incanto». E qui mi taccio perché, si sa, ubi maior…

Commento di Melina Biagi:
Ho letto con  piacevole interesse questo libro  e la famosa frase «nulla  si crea,  nulla si distrugge, tutto  si trasforma», si addice perfettamente  alla conclusione di questo  racconto.      
I suoni che il vento creava attraverso i rami di un meraviglioso, spettacolare pino bianco, il canto degli uccelli e tutti i rumori del bosco determinati dalla vita che si svolgeva intorno ad esso, rivivono riprodotti, trasformati in dolcissime melodie eseguite da violini costruiti con il legno di quell'albero che sembrava morto, (abbattuto  da un furioso  temporale). Sembrerebbe una fantastica favola scritta per  bambini, ma è una bellissima realtà raccontata con grande sensibilità .

Nessun commento:

Posta un commento