Una distesa infinita di neve, montagne mute e maestose. Una
risalita faticosa, una discesa folle col vento in faccia. Tornare ancora su,
domani, e scendere di nuovo. Ancora su, nel vano tentativo di dimenticare, di
trovare un equilibrio interiore. Da lontano, dalla pianura, arrivano echi violenti
di mondo che va rivoltandosi sottosopra. Allora bisogna salire ancora in un’eterna
Fuga verso l’alto. È questo il titolo del romanzo di Annemarie Schwarzenbach
che racconta la montagna come ricerca del distacco, come oblio. Chi non ha mai
sentito parlare di questa autrice non ha che da leggere il post che trova qui
sotto.
I drammatici eventi che accadono nei primi mesi del 1933
segneranno in maniera indelebile la storia d’Europa. In gennaio, Hitler sale al
potere, in febbraio l’incendio del Parlamento tedesco servirà ad accusare i
comunisti di questo atto e rafforzare il regime. Annemarie Schwarzenbach lascia
definitivamente Berlino. Durante questi mesi scrive Fuga verso l’alto. La
stesura del romanzo, per una tetra coincidenza, termina il 10 maggio, lo stesso
giorno in cui, a Berlino, i nazisti bruciano in piazza i libri che si oppongono
all’ideologia ormai dominante.
Nel romanzo gli echi di tali violenze arrivano attutiti;
sono invece lo sradicamento familiare dei protagonisti e il loro spaesamento ad
attraversare tutta la narrazione. Allora non resta che tornare ossessivamente a
sciare nel vano tentativo di dimenticare e cercare una nuova dimensione di sé.
Il tempo sembra diluirsi fino a diventare rarefatto, qui in alta montagna dove l’inverno
sembra non finire mai. L’attesa diviene opprimente e richiama le atmosfere de
La Montagna Incantata di Thomas Mann. Qui il discorso si allarga
pericolosamente e bisognerà parlarne un’altra volta.
Per ora vi do appuntamento a venerdì 2 dicembre, nella sede
del CAI, per parlare di entrambi i romanzi.
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