Alla fine
della serata dedicata al libro sull’ultima ascensione di Cambi e Cichetti torna
ad aleggiare il solito dubbio: ma chi glielo ha fatto fare? C’è un perché di
un’attività per certi versi perversa, insensata e folle? Qual è il motivo per
cui si va a patire freddo, disagi, intemperie, fatiche inumane? Per ottenere
cosa? È l’annosa e
mai risolta questione attorno a cui ruota l’alpinismo in tutte le sue forme e a
qualsiasi livello.
A questa
domanda prova a rispondere Pascal Bruckner, filosofo francese, romanziere e
polemista, con un libro pubblicato da Guanda dal titolo La montagna come amica,
sottotitolo Piccolo trattato di elevazione. Rientra nella categoria della
saggistica, venata però di narrativa: spesso le speculazioni dell'autore sono
intervallate da episodi di vita vissuta che, grazie alla loro ironia, alleggeriscono
la lettura e gettano una luce trasversale sulle sue affermazioni. I tredici
capitoli riguardano aspetti diversi e complementari, tanti piccoli tasselli che
provano a ricostruire un quadro di come viene vissuta la montagna.
Il delicato
equilibrio tra fatica spesa e ricompensa ottenuta è sempre precario ma è una
costante nella vita: “non si scala per vincere ma per continuare a scalare”
anche quando l’età avanza (è il caso dell’autore) e bisogna calibrarsi sempre
un po’ più su di quanto il fisico consente. Ma in montagna non si è soli, anzi:
in una montagna sempre più affollata “il lusso sta in tutto quello che si fa raro”.
Ecco allora tutta una galleria di personaggi descritti nelle loro dicotomie: a
partire dagli aristocratici, una volta unici frequentatori delle valli alpine,
alle orde di turisti contemporanei; i “Puri” (quelli bravi) e gli zotici (resto
del mondo); i montanari contro i cittadini. Ognuno, nella sua visione dell’ambiente
montano, ritiene di interpretarlo nel modo corretto per goderne appieno, mentre
è la presenza degli altri a guastarne la percezione: “il colmo del turismo è denunciare il
turismo”. Ce ne è per tutti: per le masse che degradano monti e valli con il
loro approccio indiscriminato e per gli ambientalisti che vagheggiano uno stato
di natura primigenia che non esiste se non nella nostalgia: in fondo qualsiasi ambiente
abbiamo in mente era pur sempre già stato modellato dall’uomo in secoli di storia. Analogamente il filosofo tratta il tema, ora più attuale che mai, della convivenza dell'uomo con la fauna selvatica: non c'è un modello stabilito a cui riferirsi e il diverbio tra animalisti e allevatori o contadini resta irrisolto.
In fondo
Bruckner dipinge la montagna con tutte le contraddizioni della nostra società:
non è un luogo alieno e astratto ma una parte della nostra terra e
del nostro vivere e quindi soggetta alle nostre azioni.
Allora
perché ostinarsi a salirla? Ancora una volta la risposta non c’è. Volendo però
indegnamente banalizzare le conclusioni del filosofo potrei concludere così: ho
ormai una certa età, so fino a che punto posso spingermi, se riesco anche un poco
oltre, ne ricevo un benessere fisico e psichico, e allora continuo ad andare: “Invecchiare
è come percorrere un lungo corridoio le cui porte si richiudono una dopo l’altra.
La vera sfida è lasciarne aperta almeno una prima del Grande Nero”.
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