Jean-Christophe
Rufin è medico, viaggiatore e diplomatico ma ha anche alcuni libri al suo
attivo. Rivela ora anche una buona pratica di montagna con un romanzo
ambientato tra gli scenari più impressionanti del monte Bianco.
La vicenda
narrata in Fiamme di pietra è preceduta da un prologo: di ritorno da una salita
all’Aiguille de la République, lungo la discesa verso Chamonix, l’autore viene
folgorato da un incontro. La sua guida gli rivela che l’uomo in cui si sono imbattuti è un suo collega
che serba in sé una storia particolare: non è una storia di montagna, lui è un
ottimo professionista ma non è un alpinista di punta. È una storia d’amore. Il
nostro autore ne è ancora più intrigato e inizia a raccontarla.
L’inizio
sembra tra i più scontati: lui, la guida, è bello e donnaiolo; lei, la cliente,
è bella, affascinante e misteriosa; quando escono insieme le cose vanno a
meraviglia, il sole splende e l’Alta Savoia mostra in piena luce le sue
bellezze. Però lui si innamora e le cose si complicano. Ora appaiono tutti gli
inevitabili attriti tra due mondi troppo lontani, tra il montanaro e la donna d’affari
parigina: le luminose giornate in montagna appaiono relegate a una breve parentesi
vacanziera. Il racconto procede illuminando di una luce troppo vivida i
sentimenti dei due protagonisti con qualche svolta prevedibile e la fotografia
risulta un po’ sovraesposta. Poi, però, le ombre si addensano andando a riempire
le pieghe della storia e il finale risulta decisamente più accattivante.
Il
racconto prende comunque il lettore e svela il mondo della montagna anche sul
retro della cartolina, quel solco profondo tra montanari e cittadini al di
fuori dei beati giorni di vacanza. Le descrizioni del maestoso ambiente del
monte Bianco, accurate e emozionanti, rivelano l’ottima conoscenza che ne ha l’autore.
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