Matteo Righetto è un autore di montagna abbastanza conosciuto, alcuni di noi hanno letto e apprezzato i suoi precedenti romanzi: in biblioteca abbiamo La pelle dell’orso e L’anima della frontiera e, in collaborazione con Mauro Corona, Il passo del vento. Il suo ultimo romanzo, uscito quest’anno, è La stanza delle mele. Me ne ha parlato Rita, a cui è molto piaciuto. Lascio la parola a Federico, anche lui molto conquistato da questo libro:
Sono stato in vacanza a Caprile (Alleghe) lo scorso
agosto. La scelta della località
solitamente non è casuale e questa volta ho sentito il bisogno di rendere
omaggio alla memoria di un mio bisnonno morto nella Grande Guerra in uno dei
tanti sanguinosi e inutili assalti frontali verso le posizioni austro-ungariche
alla cima del Col di Lana e del Sief.
Caprile si trova nelle vicinanze di Livinallongo, nella cui frazione di Pian dei Salesei c’è il Sacrario dove probabilmente è sepolto, tra i 4.700 ignoti, il soldato Viannesi Antonio.
Mentre passeggiavo, in un dopocena, nel centro di Alleghe sono entrato in una libreria e ho notato, tra i libri esposti, una bella copertina che ha attirato la mia attenzione. Il titolo è La stanza delle mele di Matteo Righetto.
Scambiando qualche parola con il libraio sono venuto a sapere che l’autore trascorre gran parte dell’anno a Colle Santa Lucia, nella bellissima Val Fiorentina e la storia in questione è ambientata proprio nei luoghi che mi trovavo a frequentare nel periodo, troppo breve, di vacanze.
È la storia di Giacomo, bambino rimasto orfano di tutt’e due i genitori, il papà morto in guerra e la mamma di tifo. Giacomo vive con i due fratelli maggiori insieme ai nonni a Daghè, una frazione di Livinallongo appena sotto il Col di Lana (proprio da qui parte uno dei sentieri che conduce alla vetta del Col di lana e a seguire del Sief).
L’infanzia di Giacomo è molto difficile: il nonno è un uomo duro che sembra non avere pietà soprattutto con il più piccolo dei nipoti; lo chiama bastardo nella convinzione che sia il frutto di un tradimento della nuora nei confronti di suo figlio e continua ad imporgli ordini e compiti da svolgere durante tutto il giorno.
Giacomo viene spesso punito e relegato nel fienile, nella cosiddetta stanza delle mele dove impara a intagliare il legno. Un giorno il nonno lo manda nel bosco per recuperare una roncola dimenticata lì. A questo punto c’è una sorpresa scioccante: davanti a sé vede la spaventosa figura di un uomo impiccato ad un albero. Non ne parla con nessuno dei familiari, tantomeno con il nonno, ma solo ai suoi amici.
Dopo la morte dei nonni, avvenuta a pochi giorni di distanza l’uno dall’altra, i tre ragazzi rimasti soli vengono mandati a studiare in luoghi diversi. Giacomo troverà successivamente il modo di coltivare la sua passione per la scultura del legno. Adulto diventerà un artista affermato e sta per presentare una nuova opera per la prima volta nel suo paese di Pieve di Livinallongo dove è cresciuto ma in cui non è più tornato da tanti anni.
Riuscirà in quest’occasione a svelare il mistero dell’impiccato che lo ha angosciato per tutta la vita.
Si potrebbe definire il romanzo come un Noir montano. Belle le descrizioni dei luoghi che naturalmente l’autore conosce molto bene, con i riferimenti al mondo antico della montagna, alle leggende e credenze popolari. Insomma una lettura appassionante.
Caprile si trova nelle vicinanze di Livinallongo, nella cui frazione di Pian dei Salesei c’è il Sacrario dove probabilmente è sepolto, tra i 4.700 ignoti, il soldato Viannesi Antonio.
Mentre passeggiavo, in un dopocena, nel centro di Alleghe sono entrato in una libreria e ho notato, tra i libri esposti, una bella copertina che ha attirato la mia attenzione. Il titolo è La stanza delle mele di Matteo Righetto.
Scambiando qualche parola con il libraio sono venuto a sapere che l’autore trascorre gran parte dell’anno a Colle Santa Lucia, nella bellissima Val Fiorentina e la storia in questione è ambientata proprio nei luoghi che mi trovavo a frequentare nel periodo, troppo breve, di vacanze.
È la storia di Giacomo, bambino rimasto orfano di tutt’e due i genitori, il papà morto in guerra e la mamma di tifo. Giacomo vive con i due fratelli maggiori insieme ai nonni a Daghè, una frazione di Livinallongo appena sotto il Col di Lana (proprio da qui parte uno dei sentieri che conduce alla vetta del Col di lana e a seguire del Sief).
L’infanzia di Giacomo è molto difficile: il nonno è un uomo duro che sembra non avere pietà soprattutto con il più piccolo dei nipoti; lo chiama bastardo nella convinzione che sia il frutto di un tradimento della nuora nei confronti di suo figlio e continua ad imporgli ordini e compiti da svolgere durante tutto il giorno.
Giacomo viene spesso punito e relegato nel fienile, nella cosiddetta stanza delle mele dove impara a intagliare il legno. Un giorno il nonno lo manda nel bosco per recuperare una roncola dimenticata lì. A questo punto c’è una sorpresa scioccante: davanti a sé vede la spaventosa figura di un uomo impiccato ad un albero. Non ne parla con nessuno dei familiari, tantomeno con il nonno, ma solo ai suoi amici.
Dopo la morte dei nonni, avvenuta a pochi giorni di distanza l’uno dall’altra, i tre ragazzi rimasti soli vengono mandati a studiare in luoghi diversi. Giacomo troverà successivamente il modo di coltivare la sua passione per la scultura del legno. Adulto diventerà un artista affermato e sta per presentare una nuova opera per la prima volta nel suo paese di Pieve di Livinallongo dove è cresciuto ma in cui non è più tornato da tanti anni.
Riuscirà in quest’occasione a svelare il mistero dell’impiccato che lo ha angosciato per tutta la vita.
Si potrebbe definire il romanzo come un Noir montano. Belle le descrizioni dei luoghi che naturalmente l’autore conosce molto bene, con i riferimenti al mondo antico della montagna, alle leggende e credenze popolari. Insomma una lettura appassionante.
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