Non c’è dubbio che il mito della montagna sia alimentato, nell’immaginario collettivo, dai grandi alpinisti e dalle salite più impervie: Bonatti e il Monte Bianco, Messner e gli Ottomila. Però c’è un’altra epopea nel racconto popolare, quella di Coppi e Bartali, dell’Alpe d’Huez e dell’Izoard, di Pantani e del Galibier: le cattedrali di pietra e le loro interminabili salite hanno acceso la fantasia di chi ha seguito le grandi corse ciclistiche.
Per questo motivo troveranno posto nella nostra biblioteca I racconti della bicicletta di Gianni Mura. È una raccolta di cronache dal Giro (poche, agli albori della sua carriera) e dal Tour (tantissime e inimitabili) che il giornalista ha seguito per ben 33 anni. Nella prefazione del libro, Emanuela Audisio scrive che “Mura partiva per le corse con la gioia dei bambini che vanno al mare. Solo che le biglie con cui giocava erano vere”. Dai racconti si legge la passione profonda per il suo mestiere, per il Tour, la festa che anima le strade, per la provincia francese e le località dimenticate dove l’unico evento dell’anno è il passaggio della corsa, ma dove Mura trovava sempre una trattoria e un piccolo albergo, con le stanze ancora chiuse con la chiave perché le tessere elettroniche non sono ancora arrivate. Mura racconta la cronaca ciclistica ma non trascura mai il vissuto dei corridori, li rivela nel loro privato e nella loro umanità, nei loro giorni felici e nei loro drammi, senza nascondere le sue simpatie per i più combattenti e coraggiosi e le sue antipatie per i freddi calcolatori. E poi c’è la Francia: i suoi scrittori e i suoi cantautori che lo accompagnano sempre nelle tre settimane di corsa, li cita, li ascolta, rende loro omaggio al Père-Lachaise o nei cimiteri delle cittadine più piccole. Non dimentica certo di descrivere i paesaggi: la pietraia lunare del Ventoux e la vertiginosa discesa dal Tourmalet, ma anche i campi di girasoli e i platani del Midi, la pioggia battente sul pavé di Aremberg. La sua passione resta, però, sempre la cucina: dovunque si trovi ha sempre un buon indirizzo dove mangiare la specialità locale e, quando si trova nei paesi occitani, non rinuncia al suo adorato cassoulet, nonostante il caldo di luglio nel sud della Francia; il problema è, semmai, abbinare il vino giusto. Ma anche qui sa il fatto suo.
Una lettura che mi è sembrata affascinante nello stile narrativo, piena di curiosità e riferimenti culturali, di passioni autentiche. Termino con un'ultima considerazione. Mura smonta il pregiudizio che vuole i francesi altezzosi, pieni di spocchia verso gli italiani "macaronì". I nostri cugini transalpini criticano alcuni nostri tipici atteggiamenti di trascuratezza e superficialità ma hanno sempre rispettato i comportamenti esemplari, fino a un'autentica adorazione per i genii italici, da Leonardo da Vinci a Paolo Conte. Ricorda Mura che, nel 1965, siamo diventati "les Gimondì". Era già accaduto che la Francia adottasse Coppi, sarebbe poi accaduto per Chiappucci e Pantani. I francesi li hanno fatti loro, i francesi non giudicano la corsa in base all'ordine di arrivo. In Italia se fai 200 km di fuga e ti prendono all'ultimo sei un coglione, in Francia sei un combattente, quasi un eroe. Chapeau.
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