Il famigerato distanziamento sociale ci ha imposto severe costrizioni ma ci ha portato anche dei vantaggi. Alcuni sono stati effimeri: il traffico è tornato rapidamente a livelli pre-covid, con dispiacere della categoria dei ciclisti urbani a cui appartengo; altri si spera siano duraturi: l'uso dei sistemi di videoconferenza via web è cresciuto esponezialmente e ci ha aperto prospettive interessanti.
La Biblioteca Nazionale del CAI ha trasferito i suoi incontri del ciclo "Leggere le montagne" sul web, dando così la possibilità di partecipare senza muoversi da casa, vantaggio non da poco per chi non abita a Torino o dintorni.
Giovedì scorso abbiamo assistito (uso il plurale, non ero il solo di Frosinone) alla presentazione del libro I paesaggi delle Alpi di Annibale Salsa, past-president generale del CAI. La conversazione ha toccato molti temi, affrontati con una grande preparazione in molti campi non alpinistici quali storia, economia, giurisprudenza: non sarò qui a darvene conto per motivi di spazio ma anche perché mi risulterebbe difficile riassumerli. Vi riporto un concetto su cui l'autore si è soffermato: il senso del Limite. Salsa distingue tra un limite oggettivo e uno soggettivo. Nei secoli passati l'accesso e la vita in montagna erano fortemente condizionati dalla natura del terreno o dalle condizioni climatiche, limiti oggettivi; negli ultimi anni, grazie alla tecnica che ha portato strade, impianti di risalita, materiali sempre più sofisticati tutti quei limiti sono stati fortemente ridotti, se non del tutto annullati. Ora i limiti che ci possiamo porre sono limiti soggettivi, sarà l'etica a porre limiti all'azione dell'uomo.
Venerdì leggo una lettera, pubblicata sull'omonimo settimanale de La Repubblica, indirizzata a Michele Serra, inviata da Toni Farina che si definisce rappresentante delle associazioni di tutela ambientale dell'ente di gestione del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Il lettore ci ricorda che fra due anni ricorrerà il centenario dell'istituzione di questa riserva e che "sarà l'occasione per riflettere sul ruolo dei parchi e non solo. Per riflettere sul futuro. Si parlerà di Limite.". Auspica infine che si istituisca, nel territorio protetto, "una Montagna Sacra, Sacra per tutte le genti e tutte le fedi. Dove homo sapiens, alpinista o meno, si impegna a non salire mai.". Sprona, infine, Michele Serra al ruolo di autorevole supporter di questa iniziativa. Inutile dire che il giornalista si dichiari immediatamente d'accordo con questa bellissima idea.
E' una coincidenza che a distanza di poche ore, in contesti diversi, sento parlare di Limite? è un caso che la nostra ultima serata ha trattato il tema delle montagne sacre? Non credo.
Nel 2022 si festeggeranno anche i cento anni del Parco d'Abruzzo, cui siamo legati da sentimenti e dalla vicinanza. Non sarebbe male che, anche in Abruzzo, una cima sia dichiarata Montagna Sacra "per tutte le genti e tutte le fedi".
Messaggio di Pino Mollica:
RispondiEliminaL’istinto “vitale” di salire, di guardare le cose dall’alto, lontano; l’autorealizzazione indescrivibile che dà la vetta raggiunta; l’aspirazione spirituale o religiosa a elevarsi al trascendente, al superiore, o anche laica di elevarsi dal “piano terra”: le metafore della salita in montagna, dell’arrampicata, sono tante. Una delle più comprensive é forse quella della vetta come punto dove terra e cielo, umano e sovrumano sono più vicini.
L’antropizzazione dovuta alla globalizzazione (turismo di massa, affollamenti dei sentieri, moltiplicarsi di funivie, rifugi-alberghi, ferrate), ha violato il “sacro”, il senso del superiore connaturato nella montagna: in tutte le montagne.
Sceglierne una “sacra” e precluderne la salita può recuperare il senso di rispetto, il “terrore sacro” per “l’altro alto” perso dalle masse democratiche globalizzate? Può indurre un rinnovato rispetto e una difesa della natura? mobilitazione impegnata di tutti per la difesa cogente, personale, diretta e attiva della natura e di tutte le montagne? – Non lo so.
Un primo sospetto è che possa essere un atto simbolico nella tradizione “italiana” nostrana: un’emanazione della cultura intellettuale ideologica nel paese delle gride manzoniane.
Un punto di ragionevole equilibrio tra libertà personale di esplorare, misurarsi, e esigenze di rispetto ambientale e coordinamento con i movimenti degli altri, è difficile senza dubbio.
Un criterio potrebbe essere un’educazione sistematica, specifica: profonda, seria, dalla scuola dell’infanzia. Metodo che sarebbe comunque “teorico” se non accompagnato da un sistema di esempi concreti; e richiederebbe tempi lunghi.
Altra via sarebbe vietare tutte le montagne a quelli che non hanno le credenziali: gli attributi etici idonei a praticarle. Ma si dovrebbero fissare le credenziali, definire gli attributi, e decidere chi dovrebbero essere gli esaminatori.
La vedo dura.
Imporre il “sacro” per decreto forse è difficile: sia il sacro “altro alto”, sia quello in senso laico di bene sommo comune. Una prospettiva pratica realistica passa per un punto che rischia, però, di essere tacciato approccio “intimista”, “mistico”, “spiritualista”. Si tratterebbe, forse di fare un sentiero oggi poco praticato: di attivare un percorso non più alla moda: si tratta di (ri)trovare prima il sacro dentro di noi