Fosco
Maraini è stato alpinista ma prima ancora etnologo e orientalista nonché
scrittore. Prima del confinamento a casa, fortunatamente ho preso in biblioteca Farfalle e
ghiacciai, antologia di scritti di Maraini, pubblicata da Hoepli nel 2019.
È una
raccolta di racconti e articoli scritti per la Rivista del CAI. Sono stato
spinto a questa lettura dalla fama del personaggio ma soprattutto da un suo
racconto che avevo letto in passato: Quando salendo creavi il mondo. In questo brano Maraini descrive una salita al Gran Sasso negli anni ’30, in un mondo pastorale
ancora primordiale; resta affascinato dalla solitudine e dallo sconfinato piano
di Campo Imperatore che descrive come un altopiano del Tibet. In questo nuovo libro
che ho appena letto, ho ritrovato quel senso di nostalgia per la montagna di una volta
che costringeva a muoversi con una lentezza e una fatica oggi non più accettabili ma in un
ambiente solitario e solenne che abbiamo irrimediabilmente perduto.
Maraini
racconta le Alpi Apuane di cent’anni fa, abitate da pastori che non avevano mai
visto la “civiltà”; una traversata in sci dalla Val Gardena a Cortina in tre
giorni, per proseguire poi fino alla val Fiscalina, traversata che oggi si potrebbe fare
comodamente in giornata usando gli impianti. Racconta del Sikkim, di un viaggio
dalla foresta tropicale fino all'apparizione impressionante del Kangchenjunga e
dell’incontro con le popolazioni locali; infine delle escursioni in sci in
Giappone, nell’isola di Hokkaido. Nulla di alpinisticamente strepitoso ma una narrazione che
trasmette un grande amore per la montagna, le sue suggestioni, le sue
solitudini.
In attesa di
riaprire la biblioteca ed eventualmente prestare il libro a chi interessa, vi
suggerisco due spunti di lettura:
- il racconto:
Quando salendo creavi il mondo lo trovate in rete cliccando qui;
- la descrizione
di Fosco ad opera dell’alter-ego romanzesco di sua figlia Dacia, lo trovate di
seguito.
Buona
lettura e buona clausura
…la montagna è un destino di
famiglia. Sua nonna descriveva foreste e giogaie persiane, suo padre si era
arruolato tra gli alpini per poter stare vicino alle rocce boscose. Non ti
ricordi quel mese di aprile / quel lungo treno che andava al confine/ e
trasportava migliaia degli alpin…! Era il canto ritmato e dolce. Di un uomo
che, nonostante i tanti amori e la famiglia numerosa, è sempre rimasto un
solitario.
Come sono vivi quei ricordi di
rifugi sepolti nella neve a cui si arrivava stanchi quando le cime si tingevano
di rosso. Una stufa spenta, della legna bagnata, un pentolino in cui sciogliere
un pugno di neve per gettarci dentro una minestra in polvere. Di notte il vento
tirava fuori gli artigli e graffiava le finestre ghiacciate, la stufa fumava e
lei tremava di freddo dentro il sacco a pelo. Ma suo padre era irremovibile:”
Domani si raggiunge la cima più alta. Lì c’è un altro rifugio, chiamato della
Madonna bambina. Dobbiamo arrivarci prima del tramonto. Basta partire alle
sei”. “Ma alle sei è buio papà”. “E con questo? C’è ancora mezza luna, il
riflesso della neve farà il resto.”
E infatti alle cinque erano già
alzati a scaldarsi un poco di caffè in polvere dentro il pentolino pieno di
neve. Un caffè che sapeva di minestra. Da mangiare c’erano solo biscotti duri
come sassi. E per pranzo un pezzullo di formaggio e una mela.
Un uomo austero suo padre,
ardimentoso, munito di un sorriso enigmatico. Aveva mai capito l’amore di
quella figlia che, pur di stargli appresso affrontava i geli notturni, le
scalate di ore e ore, la fame, le dormite sul pavimento di terra? Non era per
niente sentimentale quel padre giovane e vigoroso. “Forza Cina, cammina più
svelta sennò facciamo tardi e se il buio ci coglie stasera che non c’è la luna,
finiamo dritti dentro un crepaccio.” E lei, con gli occhi pieni di vento, il
naso gelato, i piedi indolenziti, gli correva appresso maledicendo la neve e i
sentieri coperti di sassi.
(tratto da Colomba, di Dacia
Maraini, ed. Rizzoli, 2004)
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