Ho letto molti libri della nostra biblioteca, soprattutto quelli della
recente collana Montagna Leggendaria del Corriere della Sera che raccoglie il
meglio degli autori contemporanei. Soprattutto amo leggere i racconti degli
alpinisti che ci descrivono e ci fanno vivere le loro avventure e le loro
imprese. Spesso queste storie ci raccontano anche di tragedie e disgrazie che
purtroppo spesso avvengono in ambiente di alta montagna. Questi racconti sono
crudi ed agghiaccianti, ma è interessante anche rendersi conto di come certe
cose possano avvenire; è avvincente scoprire le motivazioni che portano molti
alpinisti a rischiare la pelle in ambienti particolarmente ostili e pericolosi
per raggiungere una vetta o comunque un obbiettivo anelato e inseguito da una
vita.
Tra questo tipo di letture mi ha particolarmente colpito Qui Elja mi
sentite? Otto donne sul Pik Lenin di Linda Cottino. L’autrice, giornalista e
scrittrice, ci racconta una tragedia avvenuta nel 1974 che ha visto coinvolta
una cordata di otto donne, alpiniste sovietiche, coinvolte nello stesso
destino. Il loro obiettivo era la traversata est-ovest del Pik Lenin, una delle
più alte montagne del Pamir.
Elvira Shataeva dello Spartak Club di Mosca, svezzata tra i rigori
gerarchici dell'alpinismo sovietico, dovrà condurre le compagne sulle atmosfere
rarefatte dei settemila, mentre dal campo base si puntano i cannocchiali sulla
montagna e alla radio sono dettati ordini e informazioni. I giorni passano,
tutto sembra andare per il meglio, finché il meccanismo si inceppa a causa di
qualche ritardo, dovuto ad un malore di una delle ragazze, e sopravviene il
maltempo che blocca le ragazze poco sotto la vetta, dopo averla conquistata.
Seguono lunghe e terribili ore; le ragazze nella tremenda tempesta che
sopravviene non possono neanche raggiungere le tende del campo più alto,
possono solo accucciarsi le une alle altre nella neve, attendendo qualche
soccorso che non arriverà mai, fino alla tragedia finale.
La vicenda fu tenuta nascosta per quanto possibile dalla riservatezza
dell’alpinismo sovietico di quegli anni. L’autrice, dopo aver visitato per caso
dopo 30 anni le tombe delle alpiniste russe, si interessa alla vicenda. Partendo
da lontani ricordi di pochi testimoni e dopo lunghe ricerche negli archivi di
Mosca l’ha recentemente ricostruita e assemblata in una successione di quadri
distinti. Ne vien fuori un’appassionante vicenda, scritta 'in soggettiva', che
ci fa rivivere in diretta i tragici momenti di quella disgrazia. Struggenti le ultime
comunicazioni radio tra il campo base e le alpiniste ormai morenti. Particolarmente
toccanti le ultime pagine che raccontano gli ultimi attimi di vita delle
ragazze. Un’emozione letteraria da vivere assolutamente.
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