Dedico ancora un post a Silvia Petroni, dopo la coinvolgente serata dello scorso 14 marzo durante la quale ci ha presentato la sua attività alpinistica e il suo libro Il vuoto tra gli atomi. Se non l'avete ancora fatto, potete leggere i primi due post qui sotto.
Nei giorni scorsi ho riparlato spesso con gli amici che ho avuto modo di incontrare dell'incontro con Silvia e abbiamo usato tutti gli aggettivi possibili, qualcuno anche roboante, nello scambiarci i nostri entusiastici commenti. Rita ha riassunto così il suo pensiero: “La serata è stata ricca di stimoli, emozioni e tensioni, tutti attenti e rapiti dalla magia di Silvia, che per qualche ora ci ha condotti in un mondo magico, non solo attraverso le immagini, ma soprattutto attraverso la sua personalità grintosa e fragile nello stesso momento”. Rita ha colto questo apparente ossimoro tra grinta e fragilità che caratterizza Silvia. A mio modo di vedere è proprio questa la chiave di lettura per entrare nel suo mondo. Abbiamo immaginato il suo fisico esile e al tempo stesso energico sotto il peso di uno zaino enorme affrontare le gigantesche muraglie delle Alpi: sì, perché Silvia prima di affrontare in scarpette le vie di arrampicata sportiva ha salito un gran numero di quattromila per vie alpinistiche di grande impegno. Allora eccola, minuscola e fermamente determinata, salire la ciclopica parete est del Monte Rosa. Dalle pagine del suo libro emerge la sua battaglia contro la depressione e al tempo stesso la sua calma lucida priva di ogni angoscia nei momenti difficili delle sue salite. Ancora una volta, grinta e fragilità si fronteggiano e si completano per disegnare il mondo di Silvia.
La proiezione delle foto e dei filmati ci ha tenuti incollati allo schermo. Ho temuto, poi, che l’attenzione calasse durante la successiva presentazione del libro. Il timore è durato ben poco. Le immagini erano certamente spettacolari però le parole del libro hanno esercitato ugualmente un grande fascino: senza enfasi, senza retorica, senza autocompiacimenti Silvia ha raccontato alcuni momenti della sua vita, non solo alpinistica, centrati, come dice lei, attorno ai suoi errori. Siamo rimasti ad ascoltarla. Ho avuto il piccolo privilegio di leggere il libro in anticipo, grazie al mio ruolo di bibliotecario; ho avuto modo, così, di discuterne con Silvia durante la serata, altro privilegio non da poco. Federico mi ha rivelato, poi, che mentre io parlavo Silvia annuiva come dire che concordava con me. In effetti, dopo aver letto il suo libro, mi sembrava di conoscerla da tanto tempo, di conoscere lo zio, celebre guida delle Pale di San Martino, e il nonno letterato. Merito della sua scrittura e del suo libro. La storia di Silvia raccontata in modo semplice e diretto mi è entrata nell'animo. Altro grande privilegio del mio lavoro di bibliotecario del CAI di cui sono molto soddisfatto.
Silvia è dottore di ricerca in fisica ma viene da una famiglia di grandi tradizioni umanistiche. Ha accennato a congressi di scienziati ma anche ai ricercatori letterati: che studiano versi immortali: "Silvia rimembri ancora .... di gioventù salivi?" per chiedersi se Leopardi avesse intenzionalmente chiuso il verso con quel verbo (salivi) che è anagramma del nome dell'amata (Silvia). Colto il suggerimento, i "Bartezzaghi de' noantri" si sono scatenati con gli anagrammi di Silvia Petroni: è venuto fuori un pietron salivi (Arturo) e in tre op salivi (Nazzareno). Quest'ultimo si potrebbe scrivere più correttamente in tre hop salivi ma in questo caso l'anagramma funzionerebbe solo per l'orecchio e non per l'occhio. Come direbbe Bartezzaghi, quello vero.
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