Devo
ammettere che preferisco la montagna di una volta, quando si coglieva ancora un
senso di scoperta, ormai cancellato da web e gps. Parlando di libri, apprezzo
lo scrittore di mestiere, seppur tranquillo escursionista, piuttosto che
l’alpinista di grido che racconta imprese mirabolanti.
Ho fatto
queste due premesse per spiegare perché mi sono molto divertito nella lettura
dei racconti di viaggio attraverso le Alpi di Alexandre Dumas. Nel 1832, lo
scrittore, appena trentenne e non ancora famoso, lascia Parigi per sfuggire
un’epidemia di colera. Raggiunge Ginevra in carrozza per proseguire a piedi o
con mezzi di fortuna su quelle montagne che cominciano a divenire appetibili ai
gusti della borghesia ottocentesca. Ne scrive un resoconto di quasi mille
pagine che ha un buon successo in Francia; passano oltre cento anni prima che
sia pubblicata una prima versione italiana limitata a pochi episodi; questa
raccolta di resoconti di viaggio avrà una buona diffusione e un conseguente
successo in Italia quando sarà riedita nel 1997 da Vivalda, nella prestigiosa
collana I Licheni, col titolo In viaggio sulla Alpi.
La prosa è
assolutamente gustosa, ricca di aneddoti e episodi esilaranti dovuti alla
distanza, che duecento anni fa era ben marcata, tra un cittadino e i montanari.
Dumas dà una descrizione dei luoghi che gli appaiono di una selvatichezza
inavvicinabile ma con cui però non esita a cimentarsi con esiti non sempre
felici; racconta di alloggi improbabili e pasti immangiabili per un parigino,
scherzi atroci scambiati con altri viaggiatori. Non esita però a proseguire
nelle sue avventure sulle orme delle guide che, di volta in volta, lo
accompagnano. Il tono della narrazione è avventuroso e rocambolesco,
probabilmente frutto di una dose di invenzione e forse proprio per questo
divertente. Mi ha ricordato i racconti che si facevano sui pullman del CAI di
una volta quando si ricordavano certe escursioni finite a tarda notte per
andare dietro a Mario Maniccia.
L’episodio
più noto del libro è l’incontro, a Chamonix, con Jacques Balmat, il primo salitore
del Monte Bianco, ormai settantenne a quell’epoca. Il racconto ha uno stile
privo di retorica e autocompiacimento; uno dopo l’altro si susseguono i rischi
affrontati e le difficoltà incontrate ma non mancano inganni e colpi di scena come
in un vero romanzo d’avventura. Probabilmente il racconto è un falso storico
riguardo i rapporti tra Balmat e Paccard ma qui prevale il piacere della
lettura.
Dumas
incontra poi anche Maria Paradis, la prima donna a salire sul Bianco e Marie
Couttet, montanaro di Chamonix, scampato alla prima grande tragedia
alpinistica. Racconta poi le sue escursioni in Svizzera e, infine, anche in
Italia. Tra descrizioni di un ambiente che appare ostile e avvincente, incontri,
storie e aneddoti, Dumas racconta quell’interesse per l’avventura sulle Alpi
destinata a dilagare nei decenni a venire.