La Grande
Guerra è stata fonte di ispirazioni di una moltitudine di narratori, da Luis
Trenker a Mario Rigoni Stern a Ilaria Tuti, tanto per dire i primi che mi
vengono in mente. A oltre cento anni di distanza, gli stravolgimenti che i
montanari coinvolti loro malgrado nel conflitto hanno subito rappresentano
ancora uno spunto per un nuovo romanzo.
Caterina
Manfrini esordisce con Sette volte bosco, edito da Neri Pozza, per dar corpo a
una storia che narra l’immediato dopoguerra. Una storia di sperdimenti,
povertà, solitudine, perdita di qualsiasi riferimento affettivo che
caratterizzano i giorni di chi, tra mille difficoltà, torna a vivere una vita
normale, o perlomeno ci prova.
Adalina è
stata sfollata a Mittendorf dove ha perso i genitori; ora torna al suo maso,
alle pendici del Pasubio. Suo fratello che ha combattuto, ed è stato ferito,
sul Lagazuoi è in un campo di prigionia italiano. Adalina è sola, il maso è
stato devastato, non ha più le galline e le capre. Il racconto, che alterna
espressioni dialettali e altre in lingua cimbrica, mette in risalto il legame
che i montanari hanno con la natura e la loro terra: Adalina chiede consigli e
chiede certezze allo spirito del fiume che scorre a fianco del suo maso. La
piccola proprietà e la montagna, pe quanto devastate dalla guerra, le daranno
quel minimo sostentamento che le permetterà di ricominciare a vivere.
Se
inizialmente il romanzo indugia su questa faticosissima, dolorosa e incerta
ripartenza, saranno poi altri avvenimenti a rendere avvincente la trama: un
legame con un’altra giovane donna del paese, una presenza misteriosa, il
ritorno del fratello. Lo sconquasso della guerra, lo spostamento dei confini,
le identità nazionali ancora confuse rendono però sempre complicato
riallacciare i rapporti umani.
Infine sarà
la resilienza dei montanari a rimettere insieme le cose necessarie a
sopravvivere e le relazioni personali, almeno così sembra di intuire alla fine
del romanzo.
“Sette volte bosco, sette volte prato”: era la
profezia secondo cui vivevano. La vita, insomma, era un cerchio. Tutto, alla
fine, tornava come era stato, e niente di quello che avevano era dovuto. Ogni
cosa cambiava, attraversava fasi e stagioni, tornava la stessa e ricominciava.
Forse anche per Adalina le cose sarebbero ricominciate, ora che era di nuovo al
màs.