domenica 30 novembre 2025

LA VIA CRUDELE – Due donne e una Ford dalla Svizzera all’Afghanistan

Un grazie di cuore a Sandra Affinito che ha donato questo libro alla nostra biblioteca e che ci ha inviato questa recensione.

Come riescono due donne sole, nel 1939, a viaggiare in macchina dalla Svizzera all’Afghanistan?
Come si sono organizzate? Cosa le ha spinte a partire? Cosa hanno trovato per strada?
"La via crudele – Due donne e una Ford dalla Svizzera all’Afghanistan" è il resoconto del viaggio di Ella Maillart e Annemarie Schwarzenbach. Il titolo induce un’altra domanda: perché la via è crudele?
Ella Maillart, autrice del libro, è scrittrice, fotografa, velista. È forse la più famosa viaggiatrice del ‘900. All’inizio del viaggio ha 39 anni, aspira a tornare in Afghanistan come in un paradiso perduto, un posto dove immagina che le persone sappiano ancora vivere in pace.
Annemarie Schwarzenbach, scrittrice e fotografa, androgina, eterea, affascinante. Appartiene ad una ricca famiglia di industriali svizzeri, ha già vissuto in Iran dove è stata sposata con il console francese. All’inizio del viaggio ha 31 anni, è inquieta, trasgressiva, morfinomane. Parte nell’illusione di sfuggire a se stessa, di liberarsi dalle sue crisi emotive e dalla dipendenza dalla morfina. Nel libro viene chiamata con lo pseudonimo di Christina, per riguardo alla famiglia e agli amici.
Il libro racconta il viaggio fin dalle fasi iniziali: la prima idea, l’organizzazione, i preparativi. Ella è una profonda conoscitrice del Medio Oriente, oltre a descrivere i posti visitati ne racconta la storia e ci racconta come questi posti sono vissuti dalla popolazione locale.
Oltre alla ricchezza del resoconto del viaggio, il libro ci permette di intravedere la difficile amicizia tra Ella e Annemarie: per molti aspetti sono vicine, hanno la stessa sensibilità e determinazione, per altri versi sono in contrasto, Ella non può accettare la spinta autodistruttiva di Annemarie e si illude di poterla proteggere da se stessa. Con amarezza al termine del viaggio dovrà ammettere di aver fallito nel compito impossibile che si era data.
A due anni dalla fine del viaggio, mentre Ella sta completando la stesura del libro, viene a sapere della morte di Annemarie in un incidente in bicicletta.  La notizia la lascia estremamente addolorata e rivede criticamente la fine del viaggio e la decisione di separarsi.
Il viaggio, in una luce retrospettiva, diventa quindi “La via crudele”. Il libro si arricchisce degli aspetti umani e diventa anche il racconto del rapporto e del contrasto tra le due personalità. Ella dopo la fine del viaggio e la separazione si sente in parte responsabile per non aver saputo proteggere Annemarie da se stessa e dal suo tormento interiore.
 

Gli appunti di viaggio di Annemarie sono stati raccolti nel libro “Tutte le strade sono aperte- Viaggio in Afganistan 1939-1940” (anche questo libro è disponibile nella nostra biblioteca). Lo stesso viaggio, due storie diverse. Da una parte una “via crudele”, dall’altra “tutte le strade sono aperte”.
Il libro di Annemarie è l’esperienza soggettiva del viaggio, le impressioni, le emozioni, i pensieri di una persona speciale, una viaggiatrice sensibile. A volte ho trovato gli stessi posti e gli stessi episodi raccontati in modo molto diverso: per Ella soprattutto descrizioni oggettive, spiegazioni storiche, difficoltà del viaggio e soluzioni trovate, per Annemarie il racconto empatico delle situazioni, delle, persone, dei posti.
Per entrambe il terribile sottofondo è la guerra in Europa che incombe, il loro viaggio è quasi una fuga. Arrivate a Kabul le condizioni di salute di Annemarie peggiorano e Ella fa sempre più fatica ad adattarsi alla fragilità e alle intemperanze della sua compagna di viaggio.
Con lo scoppio della guerra in Europa i permessi di viaggio per l’interno dell’Afghanistan vengono revocati, Annemarie ed Ella precipitano nell’incertezza. È tempo di separarsi. Annemarie ed Ella prendono decisioni diverse: Annemarie decide di tornare in Europa, pensa di poter essere utile scrivendo articoli che possano fare luce sulla vera natura del nazismo, Ella decide di essere cittadina del mondo e di restare dove si trova.

lunedì 10 novembre 2025

Sette volte bosco

 

La Grande Guerra è stata fonte di ispirazioni di una moltitudine di narratori, da Luis Trenker a Mario Rigoni Stern a Ilaria Tuti, tanto per dire i primi che mi vengono in mente. A oltre cento anni di distanza, gli stravolgimenti che i montanari coinvolti loro malgrado nel conflitto hanno subito rappresentano ancora uno spunto per un nuovo romanzo.
Caterina Manfrini esordisce con Sette volte bosco, edito da Neri Pozza, per dar corpo a una storia che narra l’immediato dopoguerra. Una storia di sperdimenti, povertà, solitudine, perdita di qualsiasi riferimento affettivo che caratterizzano i giorni di chi, tra mille difficoltà, torna a vivere una vita normale, o perlomeno ci prova.
Adalina è stata sfollata a Mittendorf dove ha perso i genitori; ora torna al suo maso, alle pendici del Pasubio. Suo fratello che ha combattuto, ed è stato ferito, sul Lagazuoi è in un campo di prigionia italiano. Adalina è sola, il maso è stato devastato, non ha più le galline e le capre. Il racconto, che alterna espressioni dialettali e altre in lingua cimbrica, mette in risalto il legame che i montanari hanno con la natura e la loro terra: Adalina chiede consigli e chiede certezze allo spirito del fiume che scorre a fianco del suo maso. La piccola proprietà e la montagna, pe quanto devastate dalla guerra, le daranno quel minimo sostentamento che le permetterà di ricominciare a vivere.
Se inizialmente il romanzo indugia su questa faticosissima, dolorosa e incerta ripartenza, saranno poi altri avvenimenti a rendere avvincente la trama: un legame con un’altra giovane donna del paese, una presenza misteriosa, il ritorno del fratello. Lo sconquasso della guerra, lo spostamento dei confini, le identità nazionali ancora confuse rendono però sempre complicato riallacciare i rapporti umani.
Infine sarà la resilienza dei montanari a rimettere insieme le cose necessarie a sopravvivere e le relazioni personali, almeno così sembra di intuire alla fine del romanzo.
 
“Sette volte bosco, sette volte prato”: era la profezia secondo cui vivevano. La vita, insomma, era un cerchio. Tutto, alla fine, tornava come era stato, e niente di quello che avevano era dovuto. Ogni cosa cambiava, attraversava fasi e stagioni, tornava la stessa e ricominciava. Forse anche per Adalina le cose sarebbero ricominciate, ora che era di nuovo al màs.