L’estate
che sta finendo è stata caratterizzata da eventi meteorologici molto
preoccupanti, se non addirittura drammatici: la prolungata siccità, lunghi
periodi di caldo oltre la norma con la conseguenza di incendi e vere e proprie
tempeste. Ora non si può più pensare ai cambiamenti climatici come a eventi
lontani nello spazio (ad esempio lo scioglimento dei ghiacci artici) o nel
tempo (criticità che si manifesteranno fra decenni). E l’ambiente montano non è
certo indenne da questi mutamenti, anzi ne subisce un impatto violento: basti
pensare al crollo del ghiacciaio della Marmolada e alla chiusura della via
francese al monte Bianco per analoghi rischi; quest’anno, per la prima volta,
tutte le stazioni alpine dello sci estivo sono rimaste chiuse per mancanza di
neve. Il danno che ne consegue è ambientale, di immagine, economico e, non
ultimo, psicologico. Dice Gustav Thöni, indimenticato campione di sci: «Provo
paura e rabbia ma prima ancora tristezza. Il mondo bianco che ho conosciuto da
bambino scompare sotto i miei occhi […] rinascessi oggi la mia vita sarebbe
peggiore e probabilmente non riuscirei più a vivere qui».
Vittorio
Lingiardi, psichiatra, rileva come «il clima […] chiede la nostra attenzione.
Vuole farci capire che l’equilibrio si è rotto. Un equilibrio che è anche tra
psiche e natura.»; teme che «dopo il Covid pagheremo un prezzo psicologico alto
anche al cambiamento climatico». L’articolo completo è disponibile qui ma è un
contenuto a pagamento.
L’impatto
del riscaldamento globale sulla sfera della salute, fisica ma soprattutto
psicologica, è l’argomento di Ecoansia, di Matteo Innocenti, libro edito da Erickson
(se ne parla sul numero di giugno di Montagne360, a pagina 5). L’autore,
psichiatra anch’esso, si propone di trattare le conseguenze psicologiche dei
cambiamenti climatici e le strategie personali atte a fronteggiarle; un ultimo
capitolo tratta di tecniche specifiche, praticabili soltanto da addetti del
settore. La lettura richiede concentrazione ma è piuttosto scorrevole, grazie
anche ai numerosi esempi comprensibili a tutti: soltanto l’ultimo capitolo
richiede un background professionale per una comprensione esauriente.
Il libro rileva come i cambiamenti climatici inducano effetti ansiogeni su una parte crescente di
popolazione, soprattutto sui giovani che si vedono più vulnerabili alle mutazioni dell'ambiente in un prossimo
futuro. Gli impatti sono di tipo diretto sui soggetti esposti in prima persona a fenomeni
climatici estremi; non bisogna tuttavia trascurare gli effetti indiretti, dovuti a una divulgazione a carattere
pessimistico e catastrofico. E qui il libro sottolinea l’importanza di una
corretta comunicazione da parte dei media.
Il
volume di Matteo Innocenti esamina poi gli effetti negativi sull’individuo e sulla
collettività usando una serie di necessari neologismi: ecoansia, l’affanno per
qualcosa di terribile che può accadere senza possibilità di controllo;
solastalgia, la sofferenza che si prova per un ambiente naturale che va
scomparendo; terrafurie, rabbia per le istituzioni cieche ai bisogni
ambientali, fino all’ecoparalisi, quando si pensa che non ci sia più niente da
fare e si abbandona qualsiasi comportamento pro-ambiente. Allora è più che mai
necessario invertire questa tendenza e indurre nel singolo, così come nella
collettività, emozioni positive come biofilia, cioè affiliazione alla natura,
endemofilia, amore per il luogo natale, sumbofilia, amore per la cooperazione
tra uomo e natura.
Il
libro richiama anche il pensiero di Glenn Albrecht, filosofo, che spiega la
necessità di virare dall’era dell’Antropocene, dove tutto ruota attorno all’attività umana, all’era del Simbiocene, caratterizzata dalla coesistenza simbiotica
della vita umana con ogni altra forma di vita organica e l'ambiente ospitante.
Alla fine della lettura si percepisce bene quanto contribuire alla salvezza del pianeta è compito di tutti e la strada sarà indicata, oltre che dagli scienziati, anche da filosofi e psichiatri